di Enrico Tortolani
Dopo anni di critiche ingiustificabili partorire nei confronti degli Avvocati, il magistrato, condannato solo in primo grado, sperimenta la condizione dell’imputato che invoca garanzie processuali, pretende legittimamente attenta e doverosa giustizia, evita i riti sommari e le scorciatoie giustizialiste. Quelle stesse che troppo spesso egli, da magistrato, ha invocato contro la “cavillosità” dei difensori, origine di tutti i mali del nostro sistema giudiziario (secondo lui). Prima di continuare il proprio legittimo iter impugnatorio, il dott . Davigo (che come avrete capito è il soggetto destinatario della condanna) dovrebbe spiegare se intende rivedere le sue opinioni sugli Avvocati e le garanzie difensive, come gli ha richiesto l’Unione Camere Penali Italiane. Spiegazione doverosa, per non lasciare intendere che possa coesistere, nel nostro ordinamento, una giustizia differenziata. Poi, sulla reprimenda diffusa da altro magistrato, il Dott. Reale, membro della giunta dell’ A . N. M., non si può sorvolare. Nessuno potrà mai imputare all’Avvocatura di aver abdicato alle prerogative difensive e all’esercizio inedefesso di ogni garanzia, per ogni imputato, come impone la Costituzione. A prescindere da status e censo dell’assistito, e anche senza equo onorario, nei tantissimi casi di imputati non abbienti epperciò ammessi al patrocinio a spese dello Stato. E tuttavia, dopo anni di ingiustificati attacchi oggi gli Avvocati hanno diritto di pretendere una spiegazione, anche da tutti coloro che negli anni passati sono rimasti in silenzio, di fronte al cattivo gusto di alcune prese di posizione. Magari dal comodo e protetto rifugio di una direzione generale del ministero, ottenuta per merito sicuramente, ma pur sempre un controsenso per l’effettivo esercizio delle funzioni giurisdizionali cui sarebbe demandato chi supera il fatidico concorso e giura avanti al Presidente della Repubblica. L’elogio dei giudici scritto da un avvocato, è una pietra miliare della cultura giuridica del nostro Libero Foro. Lo scritto dell’Avvocato Pietro Calamandrei non mi pare sia mai stato eguagliato da un analogo elogio scritto da un giudice in favore di un avvocato. Almeno per quanto mi consti, per le mie limitate conoscenze ed esperienze, che spero di poter rivedere e integrare, solo che qualcuno me ne dia giustificato motivo. Non per me, ma per i duecentomila Avvocati che ogni giorno si impegnano nel loro difficile ruolo, divenuto ingrato, anche per l’atteggiamento di magistrati (pochi o tanti?) che negli ultimi decenni hanno contribuito a svilirne le funzioni.