Illustrato alla stampa, il nuovo cartellone lirico-concertistico e di balletto del massimo cittadino. Si apre il 14 aprile con “Manon Lescaut”, un preludio al centenario pucciniano del prossimo anno. Sette i titoli in cartellone: oltre il capolavoro di Giacomo Puccini, Tosca, Pagliacci, Die lustige witwe, Cavalleria rusticana, Suor Angelica e Aida
Di Olga Chieffi
“Andiam, incominciate” è la chiusura del Prologo dei Pagliacci di Ruggero Leoncavallo, che ci dà l’abbrivio per ricondurre i nostri lettori tra gli stucchi e i velluti del teatro Verdi di Salerno, dove ieri, mattina è stato presentato il nuovo cartellone lirico-sinfonico e di balletto del massimo cittadino. Dal podio romano dei Pagliacci Daniel Oren non ha inteso mancare in teatro per dare il saluto al suo pubblico e illustrare le ragioni estetiche della nuova stagione, alla presenza del sindaco Vincenzo Napoli alla sua sinistra e con il vulcanico Antonio Marzullo alla sua destra Nell’anno che farà da preludio al centenario dalla morte di Giacomo Puccini, la scelta del direttore artistico del nostro massimo è caduta su Manon Lescaut, la cui prima sarà vissuta il 14 aprile, con replica il 16, poco rappresentata in questo ultimo lasso di tempo, in città. Un titolo di non certo facile lettura e tessitura, con quel suo “dolcissimo soffrir”, in cui Puccini ha impastato uno scintillio che ha bisogno di nervi tesi per essere interpretato, perché non sia restituito come semplice vapore di galanteria. Puccini simula la galanteria: simula cioè, un immaginario Settecento che non ha alcuna consistenza realistica, seppure sembrerebbe averla, in particolare in qualche passo del secondo atto, ma si tratta di altro. Puccini aveva in mente un fuoco sensuale da sfiorare con delicatezza estrema: quei brucianti assedi del corpo che la giovinezza subisce e vive con allegrezza patetica, ma anche con stordimento, con cecità. Manon Lescaut è, forse, l’opera di Puccini dove il destino della musica italiana dell’Ottocento viene incenerito tutto intero, e viene presagito un futuro che altre pagine memorabili, da Bohème a Turandot, avrebbero via via decantato. Un bel cimento che da sempre “abita” la bacchetta di Daniel Oren e per la quale vedremo in palcoscenico Jennifer Rowley, il timbro potente e affascinante di Riccardo Massi, il suono forte e intenso di Ernesto Petti, diretti registicamente da Pier francesco maestrino. Delusione nel vedere cassata dal cartellone “L’Italiana in Algeri” di Gioachino Rossini, opera che avrebbe caratterizzato l’intera stagione, e vedere al suo posto “Il lago dei cigni”, una favola nera con una fine sublime e tragica, che potrebbe diventare una riflessione sulla sofferenza intima proprio di Tchaikovsky, il primo dei balletti, in scena il 6 e 7 maggio affidato al Balletto nazionale di Sofia, unitamente a Giselle, di Adam, un balletto a due facce, un atto realistico e uno di fantasia (ballet blanc, si dirà, così come per le Silfidi, nella celebre scena della morte) e di sogno, al quale assisteremo il 28 e 29 ottobre, segno che il progetto corpo di ballo del Teatro Verdi è durato solo un anno. Torna Tosca, il 30 maggio e il 2 giugno, è l’unica donna ammessa nell’opera, la prima donna femminista grande artista che si umilia come una donnicciola qualsiasi quando si prosterna disperata ai piedi dell’aguzzino, implorando pietà per il suo uomo, è la stessa creatura che, brandisce un coltellaccio da cucina e trucida selvaggiamente il boia che la vuole sua in cambio della salvezza dell’amante, il pittore Cavaradossi. Grande trio di voci con Josè Siri, Gregory Kunde e nel ruolo del barone Scarpia, Gabriele Viviani. Sul podio, naturalmente, Daniel Oren, che schizzerà così dopo Manon, le sue due donne più amate e studiate e una regia speciale quella di Alfonso Signorini, direttamente dalla Casa del Grande Fratello. Assisteremo a Pagliacci di Ruggero Leoncavallo, con le scene firmate da Franco Zeffirelli, il 13 e il 15 ottobre, Pagliacci è stata, infatti una delle opere maggiormente messe in scena dal genio toscano, sia nel tradizionale abbinamento con un altro capolavoro dell’opera verista, Cavalleria Rusticana di Pietro Mascagni, sia da sola. Il soggetto deriva da un fatto realmente accaduto a Montalto di Calabria, di un duplice omicidio nel mondo dei guitti, una verità che sale dalla memoria e che Leoncavallo ferma ancora in movimento, come con un obiettivo fotografico. I turgori melodici starebbero a significare che i cuori sono pieni di sentimenti, passioni volontà, desideri; ma le deformazioni dissonanti, il cromatismo a volte beffardo, a volte oscuro e involuto, dicono che il gelo, la beffa, la malattia, lo schifo di un’esistenza raminga e misera possono uccidere tutto, anche i pensieri e gli affetti. In scena il Canio di Jorge de Leàn, il Tonio di George Petean e il Silvio di Tommaso Barea, con Daniel Oren sul podio e Renzo Giacchieri alla regia. La vedova ritorna allegra il 10 e il 12 novembre, con un njegus speciale, Marisa Laurito, tra voci giovani quali la Hanna Glawari di Valeria Sepe, il conte Danilo di Alessandro Safina , il nostro Filippo Morace nel ruolo di Mirko Zeta e la Valencienne di Nino Solodovnikova, mentre a dirigere l’Orchestra Filarmonica Salernitana, ci sarà Francesco Rosa, per la regia di Paolo Giani Cei. Conservatorio Martucci in buca e palcoscenico con il doppio titolo, quest’anno Cavalleria Rusticana di Pietro Mascagni e Suor Angelica di Giacomo Puccini, l’8 e il 10 dicembre, per la regia di Riccardo Canessa, mentre sul podio ci sarà alla testa dell’orchestra, da lui preparata, in veste di docente di esercitazioni orchestrali Jacopo Sipari di Pescasseroli a coronamento di un progetto arditamente visionario, iniziato con Il barbiere di Siviglia, lo scorso anno. Finale di stagione il 26 e il 28 dicembre con “La Madre di tutte le opere” Aida che vedrà sul podio Francesco Lanzillotta e la regia di Plamen Kartaloff, mentre tra gli interpetri ritroveremo la Siri nel ruolo del titolo, con a fianco il Radamès di Fabio Sartori, la Amneris di Ekaterina Semenchuk e l’Amonasro di Amartuvshin Enkhbat. Un rientro sul palcoscenico di casa anche per il direttore di coro Francesco Aliberti che curerà la preparazione delle masse corali, dopo aver ricoperto il ruolo al Teatro Carlo Felice di Genova, tocco sapiente e raffinato il suo, che lascerà il segno in ogni produzione del massimo cittadino.