di Giuseppe D’Alto Un salernitano vero. Uno di quelli che amavano la sua città in maniera viscerale e per la quale tanto ha fatto ricevendo poco. Dieci anni fa don Alfonso Carella (nella foto con Papa Wojtyla), come in tanti -io per primo- lo chiamavamo, ci lasciava. Per oltre ottant’anni la sua penna ha raccontato storie e personaggi della Salerno sportiva. Ha organizzato eventi, è stato mentore di tante società… Tutto ciò non è bastato per lasciare traccia in una città che evidentemente dimentica in fretta coloro che hanno contribuito a scrivere la sua storia. Giornalista e organizzatore di manifestazioni sportive in epoca pionieristica. Su tutte le prime gare automobilistiche sul lungomare. Appassionato di ciclismo e pugilato ma non c’era sport che avevi segreti per lui. Le sue testimonianze sono raccolti in due volumi rimasti epici: “Novant’anni dello sport salernitano”. La passione per il giornalismo (negli ultimi anni si era appassionato anche alla pittura, sperava di fare una mostra) l’accompagna fin dalla scuola. “Spesso mi ricordava che quando era impreparato all’interrogazione rispondeva al professore con la cronaca della partita – ricorda la figlia Elena Carella. Era un autodidatta: studiava e lavorare ma nonostante ciò il suo stile è stato sempre apprezzato”. Innamorato della Salernitana per la quale, come tanti, non ha lesinato energie e, in qualche circostanza, anche sacrifici economici. “Il rituale della domenica era sacro.. Si vestiva di tutto punto, il bar era la prima tappa per dissertare con gli amici poi pranzo veloce e via alla partita. Appena rientrava si fiondava sulla macchina da scrivere per scrivere il pezzo da dettare al Corriere dello Sport dove aveva preso il posto di Vincenzo Barone, un grande giornalista ed un vero gentiluomo”. Per quella passione cambiò più volte abitazione. “Io sono nata in via Luciani (zona porto) – ricorda la figlia-. prima di trasferirci in via Diaz ed infine in via Nizza ad un rito di schioppo dallo stadio Vestuti”. Stile asciutto, non amava troppo arzigogolare Don Alfonso… Una critica sempre misurata che non gli bastò ad evitare minacce e improperi. “Ho ritrovato alcuni giorni fa lettere di minaccia di alcuni tifosi che non erano d’accordo con le posizioni da lui prese”. Lui al Corriere ed Alfonso Amaturo, alla Gazzetta dello Sport con il quale è stato protagonista di una sana “competizione” giornalistica ritrovandosi spesso su posizioni diverse nel narrare l’amata Salernitana. “Amava la sua città e si è sempre impegnato per la collettività, per il sociale. Una qualità di famiglia visto che il bis nonno Alfonso (al quale è stata intitolata una via) fondò la prima banda musicale in città aggregando i ragazzi orfani”. Sacrifici che non hanno trovato riscontro nel ricordo dei salernitani. A dieci anni dalla scomparsa nè una riga, nè un evento dedicato a Don Alfonso. “Sinceramente in questo lasso di tempo non siamo stati interpellati da nessuno. L’unica chiamata è arrivata dagli uffici cimiteriale per avvertirci che avrebbero scavato e spostato la salma a dieci dal decesso. Vie, targhe davanti a strutture sportive? Nessuno mi ha riferito di iniziative di questo genere. La Salernitana? Ma penso che i componenti di questa società non conoscano neanche tanto la storia della città visto che non sono di qui. Ma quello di mio padre non è l’unico caso”. Ripercorrere la storia, come tra l’altro faceva don Alfonso con certosina scrupolosità, è fondamentale per carpire meglio il presente ed intuire quello che sarà. Un esercizio, evidentemente, non da tutti ma c’è sempre tempo per rimediare senza dover attendere che trascorrano altri dieci anni invano.
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