Il “Maestro” spara a zero su scuola, perdita dei valori, attuale parlamento, in dialogo con Ruggero Cappuccio, nella serata inaugurale del Festival Segreti d’Autore. Il governatore Vincenzo De Luca gli consegna il premio alla carriera, un’opera di Mimmo Paladino
Di Olga Chieffi
“Lessico famigliare” tra Riccardo Muti e Ruggero Cappuccio, lunedì sera, nello spazio antistante il palazzo Coppola, finemente restaurato e divenuto luogo espositivo, per la serata inaugurale dell’XI edizione del Festiva Segreti d’Autore, diretto da Nadia Baldi. “La musica dell’Universo” il tema della serata, una traccia che ci ha condotto alle soglie dell’inudibile, un qualcosa in cui crede il Maestro come il cinguettio dei buchi neri, l’acuto di una supernova, il boato del Big Bang, la colonna sonora dell’universo, un discorso che avrebbe potuto facilmente sfociare nella musica delle sfere, in quel concetto di armonia universale, da Pitagora a Platone, dell’ Harmonices mundi di Keplero, passando per Tolomeo, Marin Mersenne, Athanasius Kircher o Isaac Newton. Niente di tutto questo: abbiamo applaudito un Riccardo Muti, che dall’alto del suo magistero, non solo musicale e dei suoi ottantuno anni, pretende che gli si tributi il vero “Buongiorno”, quale era quello di Totò il Buono di Cesare Zavattini e che il termine Maestro ritorni ad avere il significato sacrale di una volta. “A mio padre devo la vita, al mio Maestro una vita che vale la pena essere vissuta”, soleva ripetere Alessandro Magno del suo Maestro Aristotele. Maestro è un termine di cui si abusa, senza rispettarne l’intenso significato: “Maestro” era l’appellativo di Gesù Cristo nei Vangeli, l’omaggio dei contemporanei ai grandi del Rinascimento. Oggi è banalizzato, nelle arti, nella scuola, in teatro. Il Maestro è generoso, offre aiuto, suggerimenti, ispirazione dentro e fuori l’aula, segnala svolte e insegna prospettive, indica una via e la illumina, col proprio esempio, col proprio “fare”, col proprio porsi sempre in gioco, instilla il dubbio, che è la via per uscire dalla “selva”, un passaggio sicuro fatto di pochi principi chiari, su cui procedere, lavora indefessamente con severità, nella costruzione dell’opera, verso sempre nuovi traguardi, conquistati in prima persona. La ricompensa è l’onore di trasmettere qualcosa, di accendere una scintilla in chi viene dopo, un piacere puro, “gratuito”, quindi, impopolare. Riccardo Muti è il Maestro per eccellenza, il filmato delle prove dell’ouverture della Giovanna D’Arco con gli strumentisti dell’Orchestra giovanile “Luigi Cherubini” per il concerto al Senato e l’aneddoto di quelle a Salisburgo, con due orchestre da concertare, una per “Il ritorno di Don Calandrino”, di Domenico Cimarosa, naturalmente con la regia di Ruggero Cappuccio e l’altra per un concerto, incastrando la guidata da Ravenna sino alla città di Mozart e la visita alla tomba di Herbert von Karajan, prima della cena col suo regista d’eccezione, ne hanno dimostrato tutta la passione per ciò che ha fatto e continuerà a fare. Quindi, l’omaggio e l’arringa a sollevarsi, come ha sempre fatto nel corso dei secoli, alla sua Napoli, dove la madre Gilda, napoletana, ha voluto far nascere tutti i suoi cinque figli spostandosi da Molfetta dove mio padre era medico e viveva la nostra famiglia, per partorire sotto il Vesuvio poiché, se avessero girato il mondo e detto che erano nati a Napoli tutti li avrebbero rispettato. Bacchettata per quanti alimentino la Napoli di Gomorra, i messaggi negativi, la camorra, la violenza, ma anche il facile folklore, la pizza, la mozzarella, mentre Napoli è la sua città, quella di una grande capitale che nel Settecento primeggiava su Londra, Vienna e Parigi, la città che formò Pergolesi e Paisiello, Cimarosa e Tritto. La città dei suoi studi con Vincenzo Vitale determinante per il fraseggio musicale, di Aladino Di Martino, per le basi fondamentali dell’armonia, di Jacopo Napoli, che lo portò con lui a Milano dove studiò con Antonino Votto, a sua volta allievo di Toscanini, la città dei ragazzi dell’orchestra Musica Libera Tutti, di Scampia che vede l’arte come salvifica e che lì lo è stata da sempre con i quattro conservatori. Ancora, attacco alla scuola italiana che non ha un insegnamento musicale valido e per tutti, “poiché hanno messo in bocca ai ragazzi l’infame “piffero”, invece di farli giocare con l’educazione all’ascolto. Affermazione che ci ha lasciati attoniti poiché il flauto dolce, in genere soprano, che si mette in mano ai bambini è valido strumento d’approccio alla musica e il piffero che non deve essere un termino usato quale dispregiativo è uno strumento ad ancia doppia, antenato dell’oboe e della bombarda. Un viaggio tra passato e futuro, tra memorie e voglia di raccontare le esperienze raccolte in giro per il mondo sul podio delle più grandi orchestre: dalla Philharmonia di Londra con patron il violoncellista Carlo d’Inghilterra, a Filadelfia, dalla Scala, dove ha ricevuto la Regina Elisabetta, alla Chicago Symphony, sino alla lezione sul nostro inno, Il canto degli Italiani di Novaro, che dirige senza introduzione, poiché più esaltante partendo diretto dal rullo di tamburo, alla follia di volere il “Va’ pensiero” quale nuovo inno, poiché canto di un popolo vinto, quindi un soporifero lamento. Querelle anche sui cugini transalpini ai quali tutti invidiano la Marseillaise che secondo Muti facendo proprio l’intuizione del violinista Guido Rimonda, che nel 2013, attribuisce altresì la paternità delle musiche a Giovanni Battista Viotti, in quanto sarebbero state riprese dal suo Tema e variazioni in do maggiore, composto verosimilmente nel 1781. Sennonché un esemplare oggi alla British Library reca sulla parte del primo violino una nota di pugno di Viotti: “Je n’ai jamais composé les quatuors ci dessous” (“non ho mai composto i quartetti qui di seguito”). Ma all’uditorio con in testa il governatore è piaciuto pensarla come Muti, con ascolto live. Finale con gli auguri recitati emozionalmente da Claudio Di Palma, composti da Ruggero, in un dialogo impossibile con i grandi compositori del passato e la grande scoperta di Riccardo Muti, il baritono Ambrogio Maestri, fantastico Scarpia al Verdi di Salerno, quale eccezionale Falstaff, dal gusto intrinseco per la parola cantata, con la grande fuga “Tutto nel mondo è burla”, che ha offerto il la al governatore per la consegna del premio: un albero, maschera, sipario, due buchi per vedere il pubblico, di Mimmo Paladino. La foresta si muove…? finale del Macbeth o quello di Falstaff? Un talismano di grandi ebbrezze per Riccardo Muti, per continuare a volare alto, vincitore fino alla fine dei tempi, come un’aquila, sul mediocre senso comune, come il suo amico Ruggero Cappuccio.