Paola Diana e le zeppole di San Giuseppe - Le Cronache
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Paola Diana e le zeppole di San Giuseppe

Paola Diana e le zeppole di San Giuseppe

Di Andrea Orza

 Fu il gastronomo Ippolito Cavalcanti, Duca di Buonvicino a dispensare la ricetta nel 1837, rigorosamente scritta in napoletano nel Trattato di Cucina Teorico-Pratico:Miette ncoppa a lo ffuoco na cazzarola co meza carrafa d’acqua fresca, e no bicchiere de vino janco, e quanno vide ch’accomenz’a fa lle campanelle, e sta p’asci a bollere nce mine a poco a poco miezo ruotolo, o duje tierze de sciore fino, votanno sempe co lo lanatiuro; e quanno la pasta se scosta da tuorno a la cazzarola, allora è fatta, e la lieve mettennola ncoppa a lo tavolillo, co na sodonta d’uoglio; quanno è mezza fredda, che la può manià, la mine co lle mmane per farla schianà si pe caso nce fosse quacche pallottola de sciore: ne farraje tanta tortanielli come solo li zeppole e le friarraje, o co l’uoglio, o co la nzogna, che veneno meglio, attiento che la tiella s’avesse da abbruscià; po co no spruoccolo appuntut le pugnarraje pe farle squiglià e farle venì vacante da dinto; l’accuonce dinto a lo piatto co zuccaro, e mele. Pe farle venì chiu tennere farraje la pasta na jurnata primma.Le origini della Zeppola di San Giuseppe, dolce tipico della tradizione e celebrato per la Festa del Papà, sono legate e due leggende.Il racconto di matrice cristiana associa la nascita delle zeppole alla disgraziata fuga in Egitto della sacra famiglia. Per sostenere Maria e Gesù, il falegname San Giuseppe fu anche friggitore e venditore ambulante di frittelle. Il popolo napoletano, per testimoniare la devozione al Santo, ha tramandato la tradizione degli “zeppolari di strada”. Il poeta Goethe, nel tardo ‘700 racconta così una gita nel labirinto partenopeo.

“Oggi era anche la festa di S. Giuseppe, patrono di tutti i frittaroli cioè venditori di pasta fritta…Sulle soglie delle case, grandi padelle erano poste sui focolari improvvisati. Un garzone lavorava la pasta, un altro la manipolava e ne faceva ciambelle che gettava nell’olio bollente, un terzo, vicino alla padella, ritraeva con un piccolo spiedo, le ciambelle che man mano erano cotte e, con un altro spiedo, le passava a un quarto garzone che le offriva ai passanti… ”.

La seconda lettura sulla leggendaria Zeppola ci riporta a Roma, durante le celebrazioni delle Liberalia, un ciclo festivo in onore delle divinità dispensatrici di vino e grano. Ogni 17 marzo, si concedeva ai cittadini, un’euforica ebbrezza per omaggiare Bacco e Sileno, dove vino e ambrosia venivano accompagnati da frittelle di frumento, cotte nello strutto bollente. Con l’imperatore Teodosio II furono proibiti i culti pagani ma a ridosso della fine dell’inverno, continuarono i riti di purificazione agraria in Italia meridionale. Il 19 marzo si accendevano falò, intorno ai quali si danzava in attesa dell’equinozio di primavera. Propiziando la fertilità dei raccolti si offrivano alla comunità delle frittelle ricoperte di miele.

 

Anche quest’anno migliaia di conchiglie di pasta choux verranno sfornate stanotte, saranno poi farcite di una lussuriosa crema pasticcera e guarnite infine, con una amarena sciroppata. La storica “Pasticceria Diana”, gestita da Paolo Diana, augura a tutti una buona Festa del Papà e si prepara a dispensare queste morbide delizie a tutti i salernitani.

 

Oggi di Zeppole di San Giuseppe ce ne sono per tutti i gusti. Qual è la regola essenziale che Zeppola di San Giuseppe non può trasgredire?

 

 

“La tradizionale “Zeppola” veniva fritta nello strutto e decorata con le visciole, una qualità di amarene che si accomodano perfettamente sulla farcia di crema pasticcera. Anticamente si usava friggerla nella sugna ma oggi bisogna adattarsi alla domanda di un pubblico che vuole mantenersi in forma. A seconda delle preferenze, offriamo zeppole cotte al forno, farcite con la crema chantilly, insomma cerchiamo di accontentare tutti.”

 

 

Perché i dolci della tradizione sono così imperituri e radicati tra le preferenze di tutti?

 

 

“Azzarderei col dire che oggi, con la perdita di molti valori, forse ci si attacca al gusto per sentirsi ancora parte di qualcosa. La “Pasticceria Diana”, rilevata da mio padre nel ’76, è nota al pubblico per il suo babà, leggero e spugnoso. Il babà seppur composto da ingredienti semplici, ha una lavorazione complessa. Con il suo aroma invitante è un dolce che si accompagna bene a fine pasto ed è gradevole in ogni stagione.”

 

 

Quale commento sull’arte della pasticceria a Salerno?

 

“In verità, noi pasticcieri di Salerno viviamo una sana cooperazione. Non c’è competizione tra di noi perché negli anni ognuno si è specializzato nella tecnica di un dolce. Per questo motivo, le ricette tanto amate, sono state tramandate di generazione in generazione per diventare parte del nostro patrimonio culturale. Non c’è da meravigliarsi quando un cliente entra in negozio con pacchetti di pasticcerie diverse! Siamo fieri delle nostre diversità.”