di Simone Di Meo
Siamo giunti alla quarta e ultima puntata di questa lunga inchiesta giornalistica sui boss salernitani coinvolti nella presunta trattativa Stato-mafia: dopo aver parlato delle storie di Francesco Corrado, Pietro Del Vecchio e di Francesco Sorrentino, stavolta ci occupiamo del più importante del quartetto che spunta dalle carte del processo palermitano. Ovvero, Cosimo Maiale. Riepiloghiamo velocemente il contesto: nel capoluogo siciliano, è in corso il dibattimento su un presunto patto che, tra il 1993 e il 1994, avrebbero stretto esponenti dello Stato con i vertici corleonesi di Cosa nostra per far cessare la stagione delle stragi sul continente (in quel periodo, ci furono gli attentati di Roma, Firenze e Milano). Le condizioni di questa “pace armata” sarebbero state contenute nel famoso “papello” di Totò Riina. E, tra queste, ci sarebbe stato anche l’ammorbidimento del regime del “carcere duro” per i detenuti appartenenti a mafia, camorra, Sacra corona unita e ‘Ndrangheta. Sul finire del 1993, quasi 300 carcerati, infatti, lasciarono il 41bis per tornare alla detenzione comune. La procura è convinta che questa trattativa, avallata dalla politica e condotta materialmente dai carabinieri, abbia poi sortito l’effetto di piegare lo Stato ai ricatti della criminalità organizzata. Per questo, infatti, sono alla sbarra a Palermo politici (Nicola Mancino e Calogero Mannino), ex vertici del Ros (Mario Mori e Giuseppe De Donno) e boss di primo piano (Totò Riina e Leoluca Bagarella). Ma ora torniamo a Maiale: nato a Eboli l’11 settembre 1958, dopo un anno trascorso in isolamento, il 10 novembre del 1992 torna nuovamente nelle sezioni “comuni” del penitenziario. Esponente di spicco della famiglia egemone nella piana del Sele, Cosimo Maiale compare in numerosissimi atti giudiziari e informative delle forze dell’ordine fin dagli anni Ottanta. Ma nel decennio successivo che fa il salto di qualità (criminale). L’8 marzo del 1994, finisce in manette, insieme ad altre 11 persone, per un triplice omicidio di Marcello Montagna, Salvatore Monti e Nicola Lano, affiliati al clan di Mario Pepe, avvenuto l’8 febbraio del ’91. Il delitto, ricostruiscono gli inquirenti, risale alla lotta tra Alfieri e Pepe per il controllo dell’agro-nocerino-sarnese, ed è stato raccontato da tre pentiti: Pasquale Galasso, lo stesso Mario Pepe e Cosimo Marotta. Montagna, Monti e Lano, tutti di Pagani, furono attirati in un tranello a casa di un affiliato alla periferia di Eboli dove ad attenderli c’era un “commando” composto da Giovanni e Cosimo Maiale, Angelo Visciano, Agostino Corrado, Carmine Notargiacomo, Pasquale Onnembo, Gaetano Di Lorenzo, Pietro del Vecchio, Damiano Corsano e Giuseppe Adelizzi. I killer fecero distendere i tre sul pavimento della cucina e li uccisero con varie armi da fuoco. Il giorno dopo l’autovettura delle tre vittime, una Peugeot, fu trovata presso il casello autostradale di Salerno. I tre corpi non sono stati mai scoperti, gli investigatori ritengono che siano sepolti in uno dei tanti cimiteri della camorra nel salernitano. Appena un anno dopo i carabinieri del Ros di Salerno gli notificano un’altra ordinanza di custodia cautelare in carcere (sono passati appena due anni dall’addio al 41bis) per il tentato omicidio di Antonio Ristallo di Eboli, e di Luigi Memoli di Vetri sul Mare. Il 27 giugno 1987 Ristallo e Memoli, ritenuti affiliati alla Nuova camorra organizzatata, furono intercettati da un commando in località Fiocche di Eboli, mentre a bordo di un’autovettura procedevano verso il carcere di Vallo della Lucania, dove erano detenuti in regime di semilibertà. Contro i due furono esplosi numerosi colpi di pistola e fucile a canne mozze che li ferirono gravemente. Due anni più tardi, il 3 settembre 1989, Antonio Ristallo cadde di nuovo in un agguato mentre usciva da un locale in località Acquarita di Eboli. Anche in quell’occasione i sanitari riuscirono a salvarlo. A distanze di anni le indagini dei Ros, scaturite dalle ammissioni di alcuni collaboratori di giustizia, avrebbero accertato che il mandante dei due tentati omicidi fu Giovanni Maiale, previa autorizzazione del vertice della Nuova famiglia. Il gruppo di fuoco era composto da killer scelti tra Eboli e Albanella. Cosimo Maiale resta confinato in carcere, mentre sul suo conto iniziano ad accumularsi verbali e verbali di collaboratori di giustizia e altre indagini giudiziarie. E tutto questo accade mentre, parecchi chilometri più a sud, a Palermo, la Dda inizia a cercare le prove di un presunto patto tra Stato e mafia di cui il boss di Eboli sarebbe stato, tra i tanti, beneficiario. (IV puntata – fine)