di Antonella Palladino*
Ogni storia che racconta una violenza denunciata è una storia che ha, imprescindibilmente, almeno uno di questi fattori: il coraggio, l’ispirazione e l’amore. In occasione di questa giornata bisogna parlare di storie di denuncia da parte di donne, ma non solo. L’esperienza professionale mi insegna che chiunque, a qualunque età, può diventare vittima di determinate dinamiche relazionali pericolose e, quindi, violente. Cosa caratterizza chi decide di denunciare una storia di violenza? Ebbene, ci sono tre tipi di circostanze che spingono e supportano una denuncia. Chi trova il coraggio ascoltando una storia simile alla propria, chi si salva spinto a denunciare per amore e chi si lascia ispirare e supportare da figure positive, magari estranee alla propria cerchia familiare. C’è chi, poi, ha anche la fortuna di avere tutti questi fattori messi insieme. Quest’anno in particolare, l’omicidio di Giulia Cecchettin ha segnato l’intero paese, generando un effetto notevole nei tre mesi successivi ai fatti: il numero antiviolenza 1522 ha registrato un significativo aumento delle denunce e delle richieste d’aiuto, che è stato interpretato come un “effetto Giulia Cecchettin”. Io lo chiamo “effetto coraggio”: ispirato a seguito della immedesimazione in una storia di una coppia di ragazzi come tante e che proprio perché così “normale”, sarebbe potuta accadere a chiunque, spronando chi vive vicissitudini dolorose simili a trovare il coraggio di chiedere aiuto. Ecco perché parlare delle proprie esperienze traumatiche è fondamentale e aiuta chi ascolta ad incoraggiarsi, a sapere che non si è soli. Se ce l’hanno fatta loro, ce la posso fare anch’io. Le storie di dolore di cui sono stata testimone professionalmente, sono rapporti nei quali non c’è solo violenza fisica ma spesso c’è soprattutto la volontà di cancellare l’identità dell’altro, togliere la parola all’altro. Sono storie di profanazione dell’amore e che nulla hanno a che fare con esso. Rapporti nei quali il ricorso alla violenza sostituisce la dolorosa constatazione della propria insufficienza: è una tendenza del nostro tempo rifiutare l’ostacolo, la perdita, il fallimento, il dolore. Ogniqualvolta ci si trova di fronte a qualcuno che ha timore di denunciare e che poi trova il coraggio di farlo, la svolta avviene a seguito sempre degli stessi schemi comportamentali. Il primo elemento che spinge a chiedere aiuto è sentirsi “riconosciuti” nella misura in cui c’è qualcuno disposto ad accoglierti, ascoltarti, supportarti e credere alla tua storia. Questo aspetto è fondamentale: è l’aiuto che si ritrova nella famiglia, nei centri antiviolenza, in un professionista avvocato, nella polizia giudiziaria o nel supporto psicologico. Chi non si sente ascoltato e rassicurato non denuncia, non crede che le cose possano cambiare, non troverà mai il coraggio di aggiungere vita alla propria storia e decidere di cambiarla prendendo le distanze erigendo muri e irrigidendo i propri confini fino a blindarsi. Quanto è importante incontrare sulla propria strada figure di riferimento formate appositamente per questo, persone che ispirino a cambiare la propria situazione di non amore? Diventa decisivo in ogni storia. Chi è in difficoltà vuole innanzitutto essere compreso, rassicurato, informato. Per questo si ha sempre più bisogno di personale altamente qualificato per affrontare determinate situazioni che, afferiscono più con l’empatia che con la conoscenza tecnica del codice penale. Si decide inoltre di denunciare per amore, per difendere qualcuno che si ama, per far sì che non ri-accadano le violenze da noi subìte alle persone che ci sono vicine. Si denuncia perché “non accada anche a mia sorella”, perché “Devo proteggere i miei figli”. Sono solo alcune delle frasi che ho ascoltato, molto simili alle frasi che si sentono nelle cronache di tutti i giorni. È l’amore che muove tutte le cose, l’istinto protettivo primordiale che spesso è l’unico moto inconscio per evitare ulteriori tragedie e dolore.
Amore, coraggio, ispirazione.
Tutto questo incide non solo nel momento patologico, quindi quando le violenze si sono già consumate, ma anche per evitarle e riconoscerle. Tanto si parla dell’escalation di violenza tra i giovanissimi ad esempio, le Procure Minorili sono piene di fascicoli in merito. Sono la famiglia e la scuola le due principali fonti di ispirazione, con il compito di alimentare nei nostri ragazzi la cultura del rispetto della differenza. La testimonianza dal lato della famiglia che possano esistere relazioni ispirate dalla cura e dalla accoglienza e la cultura dal lato della Scuola come antidoto nei confronti della violenza. Tanto si è parlato rispetto ad esempio l’educazione alla sessualità nelle scuole pubbliche, servirebbe più una educazione sentimentale. La nostra scuola troppo spesso è stata come quella descritta in “The Wall dei Pink Floyd”, dove gli allievi vestiti tutti uguali finivano attraverso un tapis-roulant in un torchio e diventavano “carne trita”, uniformandosi. La forza dell’insegnamento deve essere l’ispirazione per i ragazzi che oggigiorno vivono la propria identità nel mondo dei social, nei suoi aspetti più patologici, esaltando l’essere perfetti. Non c’è in quel luogo alcuna confidenza con l’esperienza umana reale. Anche l’intimità sessuale in certi casi diviene violenza attraverso la quale si raccolgono like. È una virtualità narcisistica dove tutto deve apparire ideale, dove non si riconoscono i limiti che dovrebbero essere invalicabili della sfera privata e del rispetto dell’altro. L‘apprendimento a scuola non deve essere solo una gara senza riflessione critica dove l’individualità viene sostituita dalla verifica dell’assimilazione passiva delle informazioni. La scuola deve ispirare e farci sognare così come fa il Professor Keating nel film L’Attimo Fuggente, formando ragazzi e ragazze pieni di desiderio e passione divenendo adulti consapevoli del rispetto. A riguardo, proprio dopo l’omicidio della giovane Giulia Cecchettin, mi è capitato di ascoltare una bambina che diceva alla madre ”Oggi abbiamo fatto due minuti di silenzio in classe, per la morte di Giulia Cecchettin, poi però non ne abbiamo parlato”. Le parole curano e formano, l’ascolto salva le vite, i ragazzi consapevoli riconoscono le violenze e le evitano divenendo gli adulti di domani.
*Avvocato