di Fabio Setta
Il cielo era grigio piombo, ma nel caso sarebbero state lacrime di felicità e di commozione. La città, invece, sì che era colorata. Un solo colore, dal centro alla periferia: Salerno tutta granata. In quel 3 giugno 1990 si chiudeva una storia, fatta di illusioni estive e cocenti risvegli novembrini, di anni, ben 24, trascorsi sognando un’unica cosa: la promozione in serie B. Ogni anno era quello giusto, ma poi non lo era mai: campionati difficili, di speranze disilluse, ma questa volta no, era fatta. Serviva l’ultimo passo ma questa volta non ci sarebbe stato nessuno, nemmeno il destino a fermare la Salernitana. Serviva un punto contro il Taranto già promosso nell’ultimo storico match da giocare allo stadio Vestuti. L’anno successivo la Salernitana si sarebbe trasferita nel nuovo stadio, l’Arechi. Per giocare in serie B. Già, quella lettera che per anni era stata solo accarezzata, ora stava per diventare realtà. Un’intera città nelle ultime settimane si era stretta attorno a quel gruppo costruito con saggezza dal presidente Soglia e dal dg Manni e allenato con pragmatismo e umiltà da Ansaloni. Ora era lì, quella serie B, bastava un passo mentre già dalle prime ore del mattino piazza Casalbore era tutta un brulicare di tifosi granata. L’attesa era spasmodica ma questa volta non c’era paura. C’era stata appena due settimane prima quando il Palermo aveva espugnato il Vestuti e la Casertana, battendo il Taranto, si era avvicinata pericolosamente. Era stata fin lì una stagione esaltante per la Salernitana. La vittoria all’esordio contro la Sambenedettese grazie alla doppietta di Lucchetti, poi una lunga serie utile di risultati, non senza polemiche e contestazione che convinsero il presidente Soglia a dimettersi. La squadra però iniziava a ingranare e a far sognare: tre gol alla Torres, cinque al Francavilla, pareggi spettacolari a Catania e Caserta, firmati Di Bartolomei, la vittoria sul neutro di Trapani contro il Palermo alla vigilia di Capodanno. La prima sconfitta era arrivata a Taranto, poi una serie di pareggi, il 6-4 con il Campania Puteolana, l’esodo a Benevento dove Della Monica stendeva l’Ischia, il blitz di Francavilla e soprattutto quello di Casarano, firmato Della Pietra che sembrava dare il là all’allungo decisivo. Il derby teso con la Casertana sembrava poter dare tranquillità ma la sconfitta di Terni, il pari di Perugia rallentavano la corsa della squadra granata prima della sconfitta in casa col Palermo. Seconda in classifica, con un solo punto di vantaggio sulla Casertana, arrivava poi la vittoria decisiva di Brindisi firmata Di Bartolomei davanti a quasi diecimila tifosi granata. E così quel 3 giugno 1990 ormai era fatta. Serviva un punto in uno stadio pieno all’inverosimile. Prima della gara era già festa grande. Vattene Amore di Mietta la colonna sonora di un prepartita in cui i festeggiamenti erano già iniziati. Il Taranto, allenato da Clagluna, ben poco interesse aveva a rovinare la festa. Così i novanta minuti in campo, con Cesari arbitro, non sono altro che una lunga, lunghissima attesa per l’esplosione di gioia finale. Un’attesa durata 24 anni e che ora diventava realtà in quel 3 giugno 1990 in cui la Salernitana conquistava la promozione più bella.