26 luglio del 1993: la fine della Dc. Ma non dei democristiani - Le Cronache
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26 luglio del 1993: la fine della Dc. Ma non dei democristiani

26 luglio del 1993: la fine della Dc. Ma non dei democristiani

di Antonio Manzo
“È possibile parlare con Mino?”. Stefano De Michele giornalista de Il Foglio e il più martinazzoliano della cronaca politica quotidiana, incrocia sulle scale di piazza del Gesù Carlo Grazioli, stretto collaboratore dell’appena eletto segretario del Partito Popolare Italiano. È il 26 luglio del 1993 e la storia lunghissima della Democrazia Cristiana l’hanno già archiviata all’assemblea costituente del nuovo partito che beneficia della relazione storico-politica di un cattolico di alto profilo, Gabriele De Rosa, che riscopre Sturzo e De Gasperi per dare un programma al neonato PPI. E Mino risponde? Grazioli, mesto e imbronciato, risponde con cortesia a Stefano De Michele: “So quanto tiene a te. Gli parlo ma non vorrei fosse occupato a leggere versi di Mario Luzi”. Sa bene il cronista politico che la passione per la poesia di Luzi potrebbe distrarre la sua richiesta di un colloquio e decide di lasciare Piazza del Gesù ormai deserta tranne Pierluigi Castagnetti che si affanna a dire: “Scusate ma che fate ancora qui, non vedete che è finito tutto?” Da ventiquattro ore non c’è più la Democrazia Cristiana. È morta, ma non ancora seppellita. Le note della Rapsodia Europea hanno accompagnato la fine dello storico partito davanti a 500 delegati per i quali non risuonano più neppure i versi e la musica della tradizionale canzone del Biancofiore di don Dario Flori. L’ultima assemblea che certifica la morte della Dc non vede neppure la partecipazione della storica icona dell’onnipresente vecchio barbuto che partecipava a tutti i congressi con la bandiera scudocrociata. La Dc, nata dopo la Liberazione 1943, veniva fatta morire con l’eutanasia procurata dalla nuova Italia politica, dalla questione morale e dalla riforma istituzionale. Ci sarà da scrivere per la storiografia italiana sul ruolo decisivo della Dc nella costruzione della democrazia italiana. Compito affidato ad un comitato di storici guidato dal senatore Ortensio Zecchino ricorderà gli ottanta anni dalla fondazione della Dc. Proprio Zecchino fu l’unico senatore a votare contro l’autorizzazione a procedere per Giulio Andreotti, raggiunto da un avviso di garanzia per mafia nel marzo del 1993. Fu una tappa importante per la storia della Dc a quel punto configurata, ingiustamente, come il crocevia politico del cosiddetto malaffare italiano. Una frettolosa definizione pubblicistica che nulla aveva a che fare con la storia vera di uomini e storie che avevano ricostruito l’Italia. E in quel 26 luglio 1993 fu decretata la morte della Dc, seppellita dalle sue stesse macerie che a piazza del Gesù si erano raccolte. Non fu come il crollo voluto e cercato del Muro di Berlino che ebbe perfino l’onore di vederlo in macerie con la musica del violoncello di Mstilav Rostropovic al Checkpoint Charlie di Berlino. L’immagine dell’artista con il violoncello fu una delle più commoventi che segnarono la storia. Era la mattina dell’11 novembre 1989, data lontana ma pur vicina alle macerie del muro di piazza del Gesù che crollava sotto i colpi del piccone collettivo della Repubblica dei partiti. Rostoprovich decise di recarsi a Berlino con il proprio Stradivari Duport, un violoncello italiano del 1700, per assistere all’evento. Le scene commossero il mondo intero. .
A Piazza del Gesù non c’era più nessuno, la Dc era morta sotto le sue macerie. E non c’era nessuno che pregava. La Dc e quel che restava era stata affidata alla fantasia politica (tanta) e al piglio organizzativo (poco) di un uomo solo al comando che aveva preconizzato la crisi profonda democristiana quando tra il giugno 75 e la morte di Moro scrisse un libro dal titolo coniato con brutalità lessicale ma vera “Controcorrente Dc”. Furono le prime posizioni scismatiche contro i sacerdoti del potere che predicavano il rinnovamento pensando sempre di succedere a se stessi. Martinazzoli pagò poi il gattopardismo unanimistico della costituente del Ppi che pure aveva una solida base programmatica disegnata da Gabriele De Rosa. Eppure aveva carta bianca, Mino. Mino, traghettaci tu dice il ragionatore per eccellenza della Dc, quell’irripetibile Ciriaco De Mita. Il leader dc disse di aver pagato l’arroganza socialista prendendosela con Pietro Scoppola, Lucio Colletti il filosofo che finì in Forza Italia e con Rosi Bindi che, anche in quei giorni, si lasciava suggestionare dalla emotività popolare per la falsa rivoluzione di Mani Pulite. L’unico ad invocare la strada del garantismo per l’ondata di avvisi di garanzia di Mani Pulite fu Bruno Tabacci che aveva negli occhi ancora le immagini dell’incolpevole Enzo Carra, arrestato il 4 marzo 1993 e trascinato con gli schiavettoni ai polsi nel corridoio del palazzo di giustizia di Milano (sul fronte giustizialista nella Dc c’è anche Sergio Mattarella allora direttore de Il Popolo e oggi capo dello Stato).
La notte del 4 marzo Arnaldo Forlani alla vista di quelle immagini scoppia a piangere e, nelle stesse ore, chiama il presidente della Repubblica Scalfaro per protestare contro la giustizia-spettacolo e la regia dei magistrati del pool mani pulite. Scalfaro resta molto colpito dalle parole di Forlani tanto da convocare, gesto inusuale, alle otto e trenta del mattino i giornalisti al seguito della visita di stato a Bruxelles. Nel salone dell’hotel Jolly Sablon della capitale belga Scalfaro pronuncia parole dure ma inutili contro il pool di Mani Pulite. La debolezza istituzionale nei confronti dei giudici viene fuori in tutta la sua allarmante verità. A far finire la Dc non furono solo tangenti e ruberie ma soprattutto l’emergenza politica ben descritta da Martinazzoli con parole oneste e forbite. Il crollo era da datare al 1979 con la tragedia Moro che paralizzò l’iniziativa Dc e divenne non protagonista della terza fase morotea ma ostaggio dell’accordo contro la Dc. Si avverava la triste profezia morotea “il mio sangue ricadrà su di voi” perché la Dc aveva smarrito il senso dell’indirizzo politico non solo per la pur importante questione morale, ma dalla caduta del Muro di Berlino che aveva fatto crollare la diga dc dell’anticomunismo italiano. , come preconizzo Luigi Pintor. Forse sarà più giusto dire con Guido Bodrato <È finita la Dc, non i democristiani>.