di Aldo Primicerio
Il 2025 sarà un anno difficile. Ma sarà anche un anno decisivo. Perché la gente dovrà decidere da che parte stare. Non potrà far finta di ignorare quel che le accade intorno, e che i media immortalano ogni giorno con foto e video. Il 2024 è stato infatti l’anno delle risse e degli insulti, delle comicità, delle ignoranze, delle inadeguatezze. Della politica in generale, di questo governo in particolare. Partendo dal “Ma vattene aff***ulo” e dal “Fatti i c**zi tua”, proferiti contro un giornalista da Antonio Angelucci, deputato della Lega. Mai visto un editore (è proprietario di Libero, Il Giornale, Il Tempo e tra un po’ forse anche dell’agenzia Agi), mai visto un parlamentare rivolgersi in questi termini ad un esponente della stampa che fa il suo mestiere ed il suo dovere.
Ma il 2024 è stato anche l’anno dei lapsus, tra comicità ed incultura
Vi è incappata la presidente del consiglio Meloni (“Sono fiera di poter dire che col mio governo il tasso di disoccupazione femminile sia il più alto di sempre”) o, peggio, (“Presidente De Luca, sono la stronza della Meloni”). O, ancora peggio, con le sue smorfie, le sbirciate ad un orologio che non ha, la sua palese insofferenza per il ritardo di Biden a Stoltenberg al vertice Nato. E sempre peggio con i suoi vice Tajani e Salvini, rimasti seduti mentre lei ricorda Satnam Singh, il bracciante lasciato morire in provincia di Latina. Lei li ammonisce con un “A regà, arzateve pure voi”. E non si può dimenticare il suo cipiglio sprezzante e pieno di alterigia al cospetto dell’ex-primo ministro inglese Sunak e del presidente francese Macron, una burbanza immortalata dalle prime pagine dei giornali di mezzo mondo. L’Italia ha bisogno di ben altro che di questi personaggi “cacio e pepe”.
Il calderone delle gaffes governative. Gli scivoloni di Matteo, gli incasinamenti di Nordio, le topiche lessicali di Foti
Anche Salvini fa la sua parte in questa sceneggiata da cinema che è stata il 2024. Dal misterioso chiodo che, a suo dire, avrebbe bloccato i treni di mezza Italia, all’inglese maccheronico che il leghista ha sfoggiato al G7 milanese dei trasporti, dalle locandine sulla presentazione del suo nuovo libro ai manifesti elettorali sui tappi delle bottiglie di plastica per le europee, dalla posizione ambigua sulle vittoria di Putin alle affermazioni imbarazzanti su Benjamin Netanyahu e sui suoi crimini, dalla fissa proibizionistica sulle canne alla psicosi sul processo Open Arms, fino all’ossessione per “i criminali comunisti e le zecche rosse dei centri sociali” . Il Matteo lumbard non è male, anzi è simpatico. Ma quando sta zitto. E quindi spesso farebbe meglio a tacere, soprattutto quando recita la sua immancabile nenia sul Ponte sullo Stretto, o quando esalta il nuovo articolo 187 del Codice della Strada, che presto sarà dichiarato incostituzionale dalla Consulta. Lui aspira agli Interni, ma c’è chi non vede l’ora che si metta da parte, anche per salvare la Lega che da quando fa lui il segretario ormai perde pezzi dovunque. C’è chi, come Luigi de Magistris, è di una durezza spietata e forse anche eccessiva verso di lui, quando prende spunto dalla sentenza su Open Arms per dire che non è “il fatto che non sussiste”, ma è “lui che non sussiste”, come uomo di Stato e come politico.
E poi, il qui pro quo del Guardiasigilli Nordio che, al comizio elettorale per le europee di FdI, ad una giornalista, con tanto di microfono ed operatore, chiede di portargli uno spritz, perché forse scambiata per una valletta. Ed infine gli strafalcioni lessicali di Tommaso Foti, neo-ministro per gli Affari Europei al posto di Fitto, che con la sua boria altezzosa trasforma la paccottiglia in “paccottaglia”, e la campagna vaccinale in “campagna vaginale” (con Draghi presidente).
Da che parte stare. La sovranità al popolo. Pace, povertà, democrazia, istruzione. Più soldi per armi, meno per la sanità, il marcio di questa politica
De Magistris non è mi è stato mai molto simpatico. Ma questa volta ha ragione quando dice che la custodia della Costituzione spetta al popolo e non a chi medita di stravolgerla. E quindi, che ci si richiami ai secondi commi degli artt. 1 e 2, “La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”, “Rimuovere gli ostacoli che impediscono l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. Il 2025 sarà l’anno in cui indignarci ed agitarci. Per rinsaldare il presidio e la difesa dei due pilastri dello Stato di diritto, la magistratura ed i magistrati, l’informazione ed i giornalisti. Sono i pilastri temuti da una politica corrotta che tenta di asservirla ed imbavagliarla. E il 2025 deve quindi essere l’anno della riscoperta della credibilità della politica e della coerenza di un governo che ha grandi amnesie nella tutela dell’ambiente e nel controllo del clima, i due problemi veri e fondanti del nostro Paese e del pianeta. Cinque i punti fondamentali per salvare l’unico pianeta esistente dove respiriamo, lavoriamo, viviamo. Il primo è la pace, e non le armi e la guerra, perseguite con stupidità dai governi di mezzo mondo. Senza la pace non può esserci un clima stabile ed un ambiente fiorente. Il secondo è la povertà. Per debellarla occorre abbattere il neocapitalismo che concentra il 90% della ricchezza nell’1% dei cittadini. Il terzo è la democrazia. Quella italiana non rappresenta più il suo popolo. Alle ultime elezioni hanno votato poco più di 6 persone su 10, assegnando a chi ha vinto, il centrodestra, il 26% del 60% dei votanti, quindi una minoranza. Ed allora ecco emergere uno delle grandi ed urgenti necessità, quella di riportare a votare tutte quelle persone che non hanno più fiducia nella politica e nei politici, perché si sentono traditi e abbandonati, emarginati da una legge elettorale che li esclude da ogni decisione. Il quarto punto è l’informazione. Anche qui occorre un cambiamento profondo, con meno ideologia e meno dogmi, meno appiattimento sulle cronaca degli orrori quotidiani, e più un laico specchio invece della realtà e della vita. Il quinto punto è l’istruzione. Siamo il Paese meno istruito, siamo terz’ultimi con appena il 26,8% di laureati rispetto alla media UE del 41,6%. e soprattutto il Paese con meno laureati che lavorano, solo il 65,2% rispetto ad es. al Lussemburgo dove gli occupati laureati sono il 94%. E qui si spiega la fuga di cervelli italiani all’estero.
E quindi signora Meloni, c’è davvero poco da ostentare orgoglio e fierezza. Lei è il presidente di un Paese cui è rimasto solo il patrimonio di un grande passato, che il suo governo, ma non solo il suo, sta trascinando alla deriva dell’autarchia, delle lobbies, della povertà e della diseguaglianza.