Alto fu il prezzo pagato da Rocco Scotellaro per la  politica - Le Cronache
Cronaca

Alto fu il prezzo pagato da Rocco Scotellaro per la  politica

Alto fu il prezzo pagato da Rocco Scotellaro per la  politica

È tempo di elezioni, di sindaci, di euforia fra gli eletti, di auguri, e recriminazioni fra i trombati. E a volte di polemiche, cui non sempre possiamo sottrarci: sono necessarie, come il sale, specie quando il dilagante torpore intellettuale imbriglia i cervelli.

Sono qui a rimuginare: il Tribunale del Popolo, il Corpo Elettorale, può assolvere chi è stato messo sotto processo  dal Tribunale dello Stato Italiano? Può assolvere un imputato in attesa di giudizio? Può revocare in dubbio una sentenza di condanna? E mi aiuta a riflettere uno scritto dell’ottimo direttore Antonio Manzo, su questo stesso giornale, che richiama i casi eclatanti più vicini a noi: quello del sindaco di Scafati, Aliberti, eletto plebiscitariamente nell’ultima tornata dai suoi concittadini, nonostante la sua condizione di imputato. E quello, altrettanto eclatante, dell’ex sindaco di Eboli, Massimo Cariello, deposto in via giudiziaria dopo aver ottenuto un risultato elettorale pari all’80,81 % delle preferenze, nel 2020, e subito nel 2021 una condanna in primo grado a 6 anni e quattro mesi, ancora non definitiva ( è in corso il giudizio di appello) e sub judice in altri processi. Per il rispetto della verità bisogna dire che ha anche collezionato un’assoluzione in un’altra indagine.

L’occasione ci fa riflettere sulla barbarie del giustizialismo che negli anni, specie con “mani pulite”, ha ingiustamente rovinato la reputazione di molti uomini politici, interrompendone le carriere, e ha aperto la strada ad altri che sono stati catapultati in posizione di vertice, che mai avrebbero sognato in condizioni di normale competizione elettorale.

Potrei ricordare ancora altri che, vicino a noi, hanno subito processi ingiusti, uscendo assolti e puliti grazie a puntigliose, scrupolose e documentate difese. Ma è inutile a volte rinvangare nel passato: anche un’assoluzione, nel nostro sistema mediatico, può essere fonte di dolorosi ricordi mentre ognuno avrebbe diritto all’oblio.

Invece la coltre dell’oblio non può e non deve coprire le vicissitudini di un personaggio che con la sua breve vita ha segnato il nostro tempo e di cui in questo 2023 si ricorda il centesimo anniversario della nascita (Tricarico, 19 aprile 1923) e il settantesimo dalla morte (Portici, 15 dicembre 1953): ROCCO SCOTELLARO.

Sindaco e poeta, lo dobbiamo sentire a noi vicino, per le sue origini lucane, per il suo essere meridionale, per i suoi studi sociologici sulla Piana del Sele e su Eboli in “Contadini del Sud” con l’intervista al bufalaro Montefusco,  per i suoi rapporti con amici ebolitani come Abdon Alinovi, Vincenzo Faenza, Carlo Cupo, Luigi Gaeta e altri che hanno condiviso un tratto della sua vita.

Una biografia intensa, un impegno politico-sociale intenso, una dedizione alla poesia totalizzante.

È impossibile comprimere in queste righe la sua figura con tutte le sue prismatiche sfaccettature. Epperciò  il tema di questo scritto si vuole concentrato su una breve parentesi della vita di Rocco, avviluppata in una vicenda giudiziaria.

Fu eletto Sindaco di Tricarico a 23 anni, il 20 ottobre 1946, con la prima tornata amministrativa post-fascista, da esponente socialista, con lo schieramento del Fronte Popolare Repubblicano (PSIUP, PRI, Pd’A, PCI). E poi una seconda volta, a capo della lista dell’Aratro e con il Fronte Democratico Popolare (PSI, PCI e Indipendenti), il 28 novembre 1948.  Da questa seconda sindacatura nacquero i suoi guai giudiziari. Infatti, l’8 febbraio 1950 il giovane sindaco socialista di Tricarico, insieme a Domenico Scaiella, venne arrestato con l’imputazione di concussione (per i non addetti ai lavori, l’estorsione del pubblico ufficiale).

Tutto nasceva da un esposto, sostenuto da un’indagine ammaestrata condotta dai Carabinieri in loco, che narrava di una presunta tangente estorta da Rocco Scotellaro per l’appalto relativo alla costruzione dell’Ospedale civile di Tricarico. Una brutta storia, che si rivelerà infondata, ma che costò al nostro Rocco una carcerazione preventiva di 44 giorni.

Allora, con il codice di procedura penale vigente ( il cosidetto Codice Rocco in vigore dal 1930 al 1988) il delitto di concussione prevedeva la carcerazione preventiva obbligatoria, in attesa di giudizio. La competenza per materia era devoluta alla Corte di Assise, per la gravità del reato, mentre la competenza per territorio era quella di Potenza, e così Rocco Scotellaro, su richiesta della Procura Generale di Potenza e su ordine del Giudice Istruttore presso il Tribunale di Matera, quel brutto mercoledì 8 febbraio 1950,  fu associato alle carceri di Matera.

Mentre i suoi difensori, avvocati De Ruggieri di Tricarico e Pignatari di Potenza, si adoperavano per far valere la sua innocenza, Rocco viveva la sua esperienza di carcerato insieme agli altri carcerati.

E in quel luogo tristo levò la sua vera statura, svelò la sua anima. Ancora una volta con gli ultimi e per gli ultimi, cercando uno strumento per abbattere la solitudine della reclusione, uno spunto per levare lo sguardo oltre quei muri, oltre l’emarginazione delle genti contadine, povere e condannate anch’esse, oltre i limiti dell’ignoranza di un Sud amaro e difficile, oltre la cattiveria di chi lo accusava falsamente. OLTRE, com’era la sua poesia, la sua vita. E per andare OLTRE scelse un libro del suo “fratellastro” (come lui stesso definiva) Carlo Levi: Cristo si è fermato a Eboli. Leggendo quelle pagine riuscì a coinvolgere i suoi compagni di cella in una visione del mondo che non si è sfocata, ancora oggi.

Quarantaquattro giorni e quarantaquattro notti che segnarono la vita, scavarono un solco nel cuore di chi li subì con Rocco, ma che aprirono una finestra al sole nel cuore dei suoi compagni.

Durante la prigiona, Carlo Levi fece sapere a Rocco Scotellaro che la sua poesia aveva vinto il premio “Roma”, con una dote di centomila lire. A quel tempo una cifra ragguardevole. Si pensi che l’accusa subita da Scotellaro riferiva una presunta tangente di diecimila lire. Ebbene, avuta la notizia, Rocco decise che quel premio fosse diviso fra i suoi compagni carcerati.

Questo fu Rocco. Umile fra gli ultimi. Grande fra tutti.   

Dopo quarantaquattro giorni arrivò il proscioglimento della sezione istruttoria presso la Corte di Appello di Potenza, su conforme parere del Procuratore Generale, e riconosciuta la sua innocenza.  

Per la cronaca, le imputazioni erano due: dalla prima fu assolto per non aver commesso il fatto, dalla seconda perché il fatto non costituisce reato ( come si legge in una missiva di servizio dei Carabinieri di Matera del 29/3/1950)

A Tricarico, riconsegnato alla comunità libero e innocente, la folla dei concittadini lo accolse commossa nella pazza centrale.

Dopo quella parentesi, purtroppo, nulla fu più come prima. Rocco in quello stesso 1950 abbandonò la carica di Sindaco, partì da Tricarico e non tornò.

Alto fu il prezzo pagato da Rocco Scotellaro per la  politica.

Enrico Tortolani