Vincenzo Spera: La generazioneperduta della sinistra migliore - Le Cronache
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Vincenzo Spera: La generazione
perduta della sinistra migliore

Vincenzo Spera: La generazioneperduta della sinistra migliore

di Michelangelo Russo
Quando mi chiamava a telefono, non diceva chi era. Una voce squillante mi raggiungeva dopo il trillo a tutta gola : “ Attenti al goriiiilla!”
Era il ritornello della celebre canzone di Fabrizio De Andrè, del 1968, intitolata appunto “ Il gorilla”, musicata dei versi del poeta maledetto “ Geoges Brassens”.- ove si narra di un gorilla scappato dalla gabbia che crea un fuggi tra la gente dove tutti scappano tranne un giudice con la toga che si sente protetto dalla sua palandrana: ad essere violentato dal gorilla sarà proprio lui.
Con “ attenti al gorilla “ Vincenzo Spera mi salutava continuando lo sfottò garbato e sottile alla mia professione iniziato tanti anni prima, all’esordio degli anni ?70. Lo avevo conosciuto a quel tempo. Faceva parte del colorato e surreale mondo dei rivoluzionari di Lotta Continua, il più agguerrito e variegato gruppo extraparlamentare di sinistra che agitava la politica italiana in fermento. Mio fratello Remo, a Salerno, ne era uno dei leader, e i suoi compagni di strada erano tutti più o meno, ospiti quotidiani in casa nostra. Vincenzo era tra i più stretti, tanto da chiamare “ zia Melina” la nostra zia convivente. Lei era lucana, e lui, venendo da Salvitelle, si sentiva un po’ lucano anche lui. Di quella origine era fiero, consapevole che le sapienze antiche dell’entroterra italico danno ai provinciali una innata eleganza da patriarchi, a dispetto dell’apparente ruralità di lingua e di modi. Quando, come sostituto procuratore a Milano mi trasferii nel capoluogo lombardo, continuammo a frequentarci. Veniva spesso a Milano per seguire la musica, ma non capivo come quella passione per i concerti lo portasse ai sacrifici economici anche delle trasferte. In realtà erano quei viaggi un embrione di un suo progetto di vita. Al Teatro Nuovo di Milano, mi portò, dopo il concerto di una già famosa Nuova Compagnia di Canto Popolare, direttamente nel camerino della star del gruppo, Marina Pagano. Con meraviglia notai che si davano del tu come vecchi amici. L’anno seguente, Enzo Spera si trasferì anche lui al nord, a Genova. Dell’università Statale ligure divenne studente e lavoratore insieme. Il Rettore di Genova apparteneva a un’antica famiglia nobiliare di Salvitelle, ed era diventato un attrattore e calamita lavorativa per i giovani del suo paese di origine. Così Vincenzo divenne impiegato precario, per il momento, di una università che doveva dargli il titolo accademico ma che poi gli diede un impiego sicuro; che gli consentì però di sviluppare da subito le sue intuizioni imprenditoriali, A Genova andavo a trovarlo, con mia moglie, e mi cedeva a casa sua, per la notte, la sua stanza matrimoniale mentre lui si arrangiava su una poltrona al piano di sotto allungando le gambe su una sedia. Casa da bohemienne, ovviamente. Situata nel pieno centro storico della città, stava in un vecchio palazzo, al terzo piano senza ascensore. Era una sola, grande stanza con bagnetto attiguo. Vincenzo aveva sistemato nella stanza un tavolo e qualche sedia, con il complemento di un fornelletto a gas come cucina. Il letto matrimoniale lo aveva ricavato da un soppalco che si era costruito da solo sopra il tavolo da pranzo. Raramente ho mangiato e dormito così bene come in quella cada per i 7 nani.
Nel 1977 , organizzammo una breve vacanza in Costa Azzurra. Lo raggiungemmo in i coppia con la mia auto da Milano. Mentre , prima di partire lo aspettavo dal lavoro a casa sua, nell’insolita stanza da pranzo entrava tutto il sole di luglio dell’estate genovese. Per farmi ingannare l’attesa, mi aveva lasciato la musica sul tavolo: era uno di quei piccoli carillon suonati a mano, da poggiare sul tavolo che fa così da cassa armonica. Quando lo azionai, risuonarono cristalline per la stanza le note di Beethoven di Per Elisa. Che cadevano come raggi sonori sui capelli biondissimi di mia moglie, al pari dei raggi di sole che già li avevano fatti rilucenti. Nella povertà sacrale di quell’ambiente, fatto di gioventù essenziale e primitiva, Vincenzo ci aveva regalato come benvenuto tutta la forza della poesia. Che è il messaggio misterioso che contiene la musica che lui amava.
Passammo una vacanza straordinaria nei camping di Cannes, fino a Saint Tropez. Mangiando lo scatolame che mi ero portato, per economia di costi, come lui voleva. Al ritorno bisticciammo, perché voleva stare assolutamente entro e cinque del pomeriggio a Genova, e a quell’ora non eravamo neanche al confine. Gli feci perdere così l’appuntamento con un tizio a mio dire inafferrabile, un certo Battiato con cui stava organizzando un concerto. Quel nome, a quel tempo, non mi diceva niente. Come un certo Paolo Conte, di cui pure mi parlava. Gli dissi , per darmi un tono, che l’anno prima avevo visto Eugenio Finardi al Festival di Re Nudo al Parco Lambro di Milano, nell’inferno inquietante del più discusso Rav-Party degli anni di piombo…. Quella, per lui, non era stato un evento musicale, ma solo una rissa tra zingari che volevano far casino nella sporcizia. Licola, i tre giorni di Licola, a Napoli, quelli si sono stati un evento. Solo la forza di una reinterpretazione continua della musicalità popolare è quella che passa alla storia, mi disse-Gli risposi che lui aveva una visione movimentista della sinistra, e apparteneva in un certo senso ai figli di Trotsky. La sua risposta ancora a tanti anni di distanza, mi risuona profetica nelle orecchie “ Meglio essere figli di Trotsky che figli di puttana!”. Alludeva ai culi di pietra dell’allora Partito Comunista salernitano, che scaldavano le sedie del Partito senza esporsi nelle iniziative di rottura della sinistra extraparlamentare, aspettando, come precisò, nient’altro che di prendersi i posti di potere della Democrazia Cristiana per fare loro affari! Capisco perché la musica fu il grande amore della sua vita.
Della politica, a partire da quella salernitana, aveva capito che i furbi e i traditori dei sogni altrui avrebbero tratto quei profitti che a lui non interessavano. Il suo libro
“ A un passo dal palco” edito un paio di anni fa, presentato anche a Salerno e dalle colonne di questo giornale, è un documento prezioso sulle speranze tradite dei giovani salernitani, che solo sotto altrui cieli hanno potuto trovare spazio per le loro ambizioni e le loro speranze di un mondo colorato, come ha detto ieri, ricordando Vincenzo Spera , il Presidente della Liguria Giovanni Toti.