Daniel Oren e la dedica alla Regina Elisabetta - Le Cronache
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Daniel Oren e la dedica alla Regina Elisabetta

Daniel Oren e la dedica alla Regina Elisabetta

Grande successo di critica e pubblico per il Maestro che è ritornato sul podio del massimo cittadino per il suo pubblico, alla testa dell’Orchestra Filarmonica Salernitana Giuseppe Verdi, con l’Inglese di Dvoràk

 Di Dick Dastardly

Dopo i quattro giorni di masterclass di direzione, Daniel Oren ha dismesso i panni del docente, per impugnare saldamente la bacchetta del direttore e incontrare il pubblico del Teatro Verdi. Il maestro ha inteso dedicare la serata alla memoria della regina Elisabetta, avendo fatto musica per lei quel 30 ottobre del 2012, alla Royal Opera eseguendo il “Va, pensiero”, dal Nabucco e dirigendo  Roberto Alagna in  un’aria da Le Cid e Angela Gheorghiu, nell’habanera dalla Carmen, quindi Bryn Terfel nel e Deum da Tosca, prima della festa in palcoscenico coi Reali in occasione  del The Queen’s Diamond Jubilee. Il programma prevedeva sabato sera, proprio la  VIII sinfonia di Antonin Dvoràk in Sol Maggiore op.88 detta l’Inglese e il ricordo e una preghiera, per l’amata regina sono venuti spontanei. La serata è iniziata con l’Ouverture del Guglielmo Tell di Gioachino Rossini, che si sviluppa in quattro movimenti, strettamente uniti tra loro da una coerente logica narrativa, con l’Andante, e la sua melodia, cantata quasi con voce quasi umana dal violoncello, il violento temporale alpino, che ha messo in luce gli ottoni,  le melodie pastorali Ranze des Vaches, affidato al bel suono del corno inglese di Antonio Rufo  intrecciato con quello di platino del flauto di Antonio Senatore, finchè una squillante fanfara introduce la parte finale della Sinfonia, con l’attacco dell’irruento Allegro vivace, che ci travolge con il suo Galop irrefrenabile, impetuoso e liberatorio, esaltato dalla bacchetta di Daniel Oren. Si è continuato con un programma passionale, che ben veste il sentire oreniano, le due danze ungheresi di Johannes Brahms, la prima Isteni Czardas, con quel carattere espressivo contrastante, a volte accentuato da un diverso andamento ritmico, l’intensità espressiva del tema, nella prima parte, cui si oppone ogni volta la breve cascata di note staccate e leggere e la quinta, sempre in Sol minore, una delle pagine più note del genio tedesco ispirato al brano Bartflai Emlék di Keler Bela, con l’alternanza di due temi di carattere opposto, di cui il primo ripetuto alla fine, ed una struttura ritmica molto ben marcata, dal direttore. Il clou della serata è stata l’esecuzione dell’ VIII sinfonia di Antonin Dvoràk detta l’Inglese, poiché ottenne la massima diffusione nella capitale inglese, dove circolò intensamente verso la fine del secolo. Fu, infatti,  l’editore britannico Novello a pubblicare la partitura nel 1892; e il sottotitolo con cui l’opera cominciò a circolare (“inglese”) fu pensato proprio in omaggio allo straordinario successo incontrato presso il pubblico londinese. Popolarità inglese a parte, è probabile che l’Ottava Sinfonia abbia lasciato perplesso qualche ascoltatore del tempo, col suo caratteristico inizio, un appassionato cantabile dei violoncelli in sol minore che sfocia nel modo maggiore in un motivo affidato al flauto, che ha ben interpretato quell’enunciazione dapprima come una eco lontana della natura e poi dilatato fino a diventare una fanfara solenne, dai colori accesi e squillanti. In questo passaggio dalla estroversione iniziale alla gioiosa ebbrezza della piena effusione sinfonica si è potuto riscontrare quel sentimento di fondo che ha guidato  l’intero percorso  di Daniel Oren nella lettura e creazione di questa sinfonia. Si è trattato di un invito ad accettare la realtà in tutta la sua dimensione contrastata, un’introduzione melanconica alla follia collettiva che divampa poco dopo in tutta l’orchestra. L’Adagio, praticamente una romanza senza parole, è risultato raccolto e intimo, capace di commuovere con semplicità, puntando dritto all’emotività dell’ascoltatore. L’Allegretto grazioso è un valzer elegante, che non riesce a trattenere qualche esplosione umoristica; nella sezione centrale – il trio – emerge una melodia leggiadra, fresca e spontanea, quasi un ricordo lontano, travolto dalle giravolte della danza. Mentre il finale è aperto da una scultorea fanfara di trombe, che con due sole non ha avuto tanto risalto, nei violoncelli è cresciuto  il tema sinuoso, la cui solennità un po’ posticcia si deforma in una serie di variazioni articolate, fino alla fine, in cui la superbia introduttiva si sgretola definitivamente, lasciando spazio alla confessione intima di un compositore sincero, attraverso quella creazione “tra le note” di Oren, il quale ha inteso andare a fondo nel linguaggio del ceco, sottolineandone i nessi e le giunture del discorso, meno superficiali e appariscenti, e “abboccando” alle provocazioni in partitura solo per esaltare la portata e la novità della scrittura di Dvoràk. Applausi e congedo con bis ancora col finale della sinfonia.

Daniel Oren  FRANCESCO TRUONO ph.