di Gemma Criscuoli
Se credete che bastino quattro mura e qualche mobile a fare una casa, siete fuori strada : abitare infatti significa scoprirsi parte di un tutto che vive e pulsa al di sopra di ogni calcolo, schema, categoria. Proprio dalla domanda su cosa sia una casa rivolta al pubblico parte la performance “Un giorno bianco”della compagnia Bartolini/Baronio – 369 gradi, allestita presso il Chiostro Ave Gratia Plena nell’ambito di Mutaverso, il progetto teatrale di Vincenzo Albano. Tamara Bartolini, che cura la drammaturgia sulle musiche di Michele Baronio, guida gli spettatori alla scoperta del libro di Gilles Clement, “Ho costruito una casa da giardiniere”, rendendo il volume un’occasione per riflettere su tematiche oscurate dalla pandemia : il concetto di comunità, il luogo inteso come incontro, la tutela del bene pubblico che sostanzia il proprio ruolo nel mondo. Condivisione è la parola chiave, come mostrano le scelte della messinscena : le immagini antiche e recenti della città e le istantanee di incontri e di gruppi impegnati nella tutela dell’ambiente, proiettate da un computer, la presenza del collettivo Blam, ovvero Ludovica La Rocca e Alessia Elefante, architetti che, nel recupero degli spazi pubblici, mirano alla valorizzazione della socialità in ogni sua forma, la concezione degli artisti come giardinieri, che creano qualcosa di nuovo insieme a chi vuole ascoltarli, la scelta stessa dei brani musicali, come “Amara terra mia” di Domenico Modugno e “Quello che” dei 99 Posse, in cui le coordinate spaziali diventano emotive. Quando Gilles Clement , verso la fine degli anni Settanta, decide di creare una casa in cui sia la natura a fare da guida e tutto si svolga all’insegna del sole, del corpo, dell’ascolto del paesaggio, sta assestando un colpo poderoso a una fede infausta : quella nell’antropocentrismo. È la pretesa assurda e cieca che ogni cosa sia funzionale all’uomo, il “maldestro fantoccio”, per dirla con l’autore, a inaridire e distruggere qualsiasi legame con il contesto naturale. Ridurre a se stessi il molteplice, il possibile, il misterioso, è un grottesco suicidio lontano dalla percezione dei più , come dimostra la vana visita dei gendarmi alla dimora, troppo preoccupati di trovare qualcosa da combattere per capire. La passione della Bartolini, che intreccia la pagina scritta e le sensazioni di chi riconosce la forza dell’accoglienza e del dialogo (il riferimento a Mimmo Lucano è esplicito), permette di superare la staticità del reading per giungere a un confronto aperto a chiunque sappia leggere i siti come archivi di anime. “Se ti prendi cura di un posto, ne diventi responsabile”, ricorda Domenico Barone, a cui è affidato il Chiostro. È questa responsabilità che non va dimenticata: la compagnia Bartolini/Baronio vuole ricordare a ogni passo che siamo custodi, non padroni della vita. Ecco dunque che il giorno bianco di Clement, in cui gli viene notificato uno sfratto e deve ricominciare altrove, non è solo quello dell’assenza e del silenzio, ma anche quello in cui liberarsi dalle catene della propria identità e lasciarsi abbracciare da quell’ammaliante scenario che è la dimensione naturale. La stessa verso la quale si dirige, leggero, lontano da trappole e maschere, Peter Sellers nell’ultima inquadratura (proiettata anch’essa) di “Oltre il giardino”. La scelta di un giardiniere è lampante: non il bianco della stasi, dell’omologazione, ma il candore dell’inizio, del rifiorire.