Vassallo, depistaggio a cinque stelle - Le Cronache Ultimora
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Vassallo, depistaggio a cinque stelle

Vassallo, depistaggio a cinque stelle
di Antonio Manzo

Come nella strage di Borsellino. Dopo 25 anni non c’è un colpevole dopo il famoso depistaggio e la falsa accusa per un mafioso costruita dalla Polizia. Nell’omicidio di Angelo Vassallo dopo 14 anni di indagine, c’è un depistaggio a “cinque stelle” con ufficiali dei Carabinieri che tirano le fila. Sull’omicidio di un sindaco italiano, avanguardista della difesa dell’ambiente, si è consumato uno dei grandi depistaggi della storia d’Italia, il culmine di quei misteri che hanno inquinato la vita della nostra Repubblica.

Ma se il depistaggio è a cinque stelle: un ufficiale dei carabinieri Fabio Cagnazzo in manette, un ex carabiniere già suo sodale nel servizio, un pregiudicato della camorra, un gestore di cinema molto votato agli affari. Sono gli esecutori del depistaggio e dello sviamento delle indagini per l’omicidio Vassallo: quattro arresti, non c’è nessun esecutore materiale. Bilancio provvisorio, dicono gli inquirenti.

Quando il 5 settembre 2010 otto colpi precisi di un calibro 9 sparati di mani ignote uccisero Angelo Vassallo, il depistaggio che mirava a nascondere colpevoli e mandanti iniziò con il cadavere ancora caldo. E sarebbe continuato per più di quattordici anni. Una terribile e incredibile cronaca nera italiana che lo scrittore Enrico Deaglio potrebbe incasellare nei suoi più minuti dettagli in un “depistaggio perfetto” che traccerebbe un nuovo capitolo della fenomenologia dell’insabbiamento, dell’accusa posticcia, del complotto per nascondere la verità: tutte cose su cui l’Italia repubblicana non ha l’esclusiva, ma di certo molta esperienza come nei casi Borsellino e Vassallo. Casi e ricorrenze, all’inseguimento di una verità che viene a galla – se viene a galla – troppo tardi per cambiare le cose, buona al massimo per scriverci libri di storia, lasciandoci il dubbio che sia la natura stessa delle cose, del potere e della società, a garantire l’esistenza e la costante fortuna del depistaggio.

. Quando succede qualcosa di veramente grave, nel nostro Paese, si può stare sicuri che qualcuno di coloro che dovrebbero cercare i colpevoli li sta nascondendo; l’ultima volta che è successo davvero in grande stile 14 anni fa con l’omicidio Vassallo – e non ce ne accorgemmo nemmeno. Partendo dalla spaventosa e stupefacente vicenda del depistaggio che avrebbe avuto quale ideatore Fabio Cagnazzo un rispettato uomo dell’Arma con un pedigreè molto noto e denso di inchieste anticamorra. Cagnazzo, in manette a Roma con l’accusa di concorso morale nell’uccisione di Angelo Vassallo fa allargare sguardo al presente e al passato della nostra Repubblica, accompagnandoci, con la sua storia, nel cuore nero del potere italiano, dove la verità è sacrificata a inconfessabili interessi, e ai cittadini si raccontano bugie per decenni. Ora, almeno per ora, non ci sono più. C’è il grazie allo Stato per la coraggiosa svolta nella lunga inchiesta sull’omicidio Vassallo firmata dal procuratore capo di Salerno Giuseppe Borrelli. È un magistrato antimafia che non ha mai fatto conferenze della serie “stiamo per prenderli” secondo una logica giudiziaria e mediatica molto nota ai palazzi di giustizia. No. Invece, Borrelli ci consegna una ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip Annarita Ferraiolo con una modalità accusatoria nuova e stringente che non si limita ad  elencare i fatti ma che ad ogni “perché”  trova subito la risposta corrispettiva con una risposta logica e convincente. Fabio Cagnazzo ufficiale dei Carabinieri era sul luogo del delitto Vassallo fin dalle prime ore della tragica notte del 2005.  Vi resterà fino alle prime luci dell’alba. Fu lui a dire subito ai Carabinieri di fare uno Stub ad un giovane di Acciaroli, Umberto Damiani, avviando così l’operazione depistaggio. Damiani fu accusato e arrestato nella prima inchiesta dell’allora procuratore Roberti con l’accusa di aver sparato al sindaco di Pollica. Ma Damiani dopo anni fu prosciolto e uscì dall’inchiesta anche grazie alla titubanza degli inquirenti dell’epoca di non volerlo rinviare a giudizio per omicidio con la labilità degli indizi che avevano raccolto. Damiani si salvò.

Già nelle prime ore dopo l’omicidio si parlò della pista del narcotraffico che voleva impiantarsi ad Acciaroli  e Vassallo lo aveva capito al punto tale di voler denunciare un losco traffico di droga raccontando tutto al procuratore della Repubblica dell’epoca Alfredo Greco. Questi, lo indirizzò ad un capitano dei Carabinieri della vicina Agropoli perché il sindaco preferiva parlare con investigatori seri e soprattutto affidabili carabinieri. Vassallo sarebbe dovuto andare ad Agropoli il lunedì successivo all’omicidio. Quindi, movente individuato dal Pm Greco istantaneamente ma che poi finì nel lungo calderone investigativo dell’Antimafia di Salerno. C’era un capitolo del pm Greco lumeggiato ai suoi colleghi salernitani che l’avevano espropriato dell’inchiesta che riguardava proprio i Carabinieri ed i rapporti con Vassallo. Inutile dire che lo scontro tra Vassallo e Cagnazzo era già nelle parole scritte da Greco soprattutto dopo che ad appena due mesi dopo l’omicidio nella trasmissione tv di Riccardo Iacona ci fu chi raccontò il movente legato perfino alla consegna di cocaina effettuata a “domicilio” a largo di Acciaroli a clienti su lussuosi yacht.

Cagnazzo resta sulla pista Damiani anche per aver sottratto senza alcune autorizzazione investigativa i filmati di quella notte sugli spostamenti della vittima prima che venisse ammazzato, portandoseli alla caserma di Castello di Cisterna per visionarli. E’ solo un episodio nell’ombra dell’inchiesta poi rischiarata così così come restano nell’ombra altre circostanze che gli investigatori e dovrebbero approfondire.

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