di Olga Chieffi
Carismatico, vulcanico, infaticabile, magnetico per musicisti e pubblico, Valery Gergiev, lo Czar del podio, torna al Ravello Festival, per due serate alla testa della sua Mariinskij Orchestra, che ha trasformato in una fabbrica culturale impressionante per qualità e quantità di produzione. Un evento che il direttore artistico Alessio Vlad, e con lui tutti noi, desidererebbe fisso in ogni edizione, “istituzionalizzato”. Il primo appuntamento, in scena sul belvedere di Villa Rufolo, domani sera, alle ore 20, verrà inaugurato da un tocco d’Italia, con l’ouverture dal Guillaume Tell di Gioachino Rossini, concepita in quattro movimenti: l’Andante racconta la penosa situazione degli oppressi, col suo celebre solo di violoncello, in cui lo strumento acquista voce “romantica”, l’Allegro descrive un violento temporale estivo, ancora un Andante, affidato al melodizzare, in forma di “ranz des vaches, del corno inglese, cui risponde il flauto, prima di scatenare il celeberrimo galop, con l’orchestra che ribolle per evocare l’ardore di destrieri e cavalieri i quali, con il loro impeto, portano a lieta conclusione l’amata pagina. La serata proseguirà con l’Incompiuta di Franz Schubert. Non ultimare la propria opera per cause diverse da quelle indilazionabili della morte, se da un lato alimenta la legittima curiosità dello studioso, dall’altro investe realtà misteriose e imperscrutabili, di fronte alle quali diventa difficile e pretestuoso pronunciare una parola definitiva. Perchè Schubert lasciò incompiuta la Sinfonia in si minore? Perchè dopo i due primi movimenti, aver aggiunto due pagine orchestrate dello “Scherzo” e lasciato altro materiale allo stato di abbozzo, il compositore accantonò il lavoro per sempre? Sono, queste, le domande cui sono state date infinite risposte; ma una sola di esse si avvicina alla verità: la Sinfonia in se stessa era finita dopo i due primi movimenti, rimanendo formalmente incompiuta ma, compositivamente perfetta per la qualità della scrittura, per la flessibilità del trattamento tematico, per il modo nuovo di concepire la tonalità, quale colore armonico inquietante e discontinuo nei suoi nessi associativi. Nella sezione centrale pulsa il cuore di tenebra della sinfonia. Invece di sviluppare i temi precedentemente esposti, come è consuetudine in una forma-sonata, l’interesse di Schubert si sposta pressoché totalmente sullo sviluppo delle otto battute d’apertura. Una variante dell’introduzione è infatti la protagonista di un climax vorticoso nella sottodominante (Mi minore) della tonalità principale, ancora una volta puntellato dalla voce preminente dei tromboni. Schubert intesse sapientemente diverse trame, che nel complesso rendono conto della drammatica potenza evocativa della musica: così le dissonanze date dal tremolo e dalle lente ascese cromatiche nei bassi, e così la reiterazione di frasi in progressione dinamica, sino a fortissimi che sprigionano forze ctonie, minacciose e inaspettate. In questo Schubert è maestro: nei trapassi espressivi, nelle peregrinazioni armoniche, nelle modulazioni di colore, cioè, rese a volte talmente sottili che in certi casi si cammina da una zona sonora a quella seguente senza nemmeno darsi conto che il passaggio è avvenuto; e quanto più queste idee sono contornate, tanto più sono fragili e pronte a dissolversi. Seconda parte della serata affidata al Felix Mendelssohn Bartholdy della terza sinfonia. Nel luglio 1829, visitando Holyrood Palace e la cappella dell’incoronazione di Maria Stuarda ad Edimburgo, Mendelssohn ebbe l’idea di una sinfonia a tema scozzese. La “Schottische” è, quindi, l’ultima e, forse, la massima fra le cinque Sinfonie di Mendelssohn che, se in apparenza, rispetta la forma classica del genere, in realtà si sviluppa come un unico discorso. Un tema che nel suo solenne inarcarsi come una volta architettonica – nel profilo melodico e nel carattere anticipa sorprendentemente il motivo dei Valsunghi in “Die Walkure”– dà forma plastica al sentimento di una natura maestosa, inquieta e malinconica, che alimenta l’intera sinfonia. Esso, infatti, è la cellula staminale da cui germina il percorso musicale e ideologico successivo, dal drammatico Allegro poco agitato, attraverso l’inquieto Vivace non troppo del secondo e l’innodico Adagio del terzo, prima di sfociare nella identità di spirito tra quella natura e la civiltà musicale espressa nel finale attraverso il canto e la danza popolari.