di Erika Noschese
Una vita da missionaria, tra l’Italia e l’Africa. Bernadetta Russo, salernitana doc, da nove anni si reca in Burkina Faso per aiutare le persone del posto a realizzare piccoli e grandi progetti per dare un futuro dignitoso ai bambini, grazie al pieno sostegno della chiesa e di don Pasquale Mastrangelo, presidente dell’associazione Semi di Speranza, da 19 anni presente in Burkina Faso, uno dei paesi di quel continente più povero e sicuramente tra i più poveri al mondo, in quanto mancano del tutto risorse minerarie e di fonti di energia. Ogni anno, un gruppo ormai sempre crescente di nostri fedeli, accompagna l’ideatore e l’iniziatore di associazione e di tale meritoria attività missionaria Don Pasquale, che al ritorno di ogni viaggio ci documenta con foto e relazioni, di tutti i progetti realizzati e dei progressi raggiunti, grazie e soprattutto all’impegno ed al sacrificio di tutti i benefattori che in tanti anni sono sempre aumentati; oggi ci sono in corso circa 500 adozioni e stanno aumentando sempre di più anche le adozioni di seminaristi, suore, e di coloro che esprimendo la volontà di continuare negli studi vengono accompagnati da padrini generosi anche fino alla laurea.
Una vita da missionaria in Africa…
«Sono nove anni che vado in Africa, ci torno una volta l’anno perché il viaggio deve coincidere con i miei impegni di lavoro e riesco a star via al massimo per un mese. Di anno in anno ho sperimentato la diversità, la crescita del luogo che ci ospita, l’accoglienza diversa ma purtroppo anche la difficoltà politica che non è tanto stabile: c’è il rischio attentati. Fortunatamente, riusciamo a realizzare i nostri progetti, a partire dall’adozione a distanza per permettere a questi ragazzi di poter andare a scuola, istruirsi perché solo studiando hanno la possibilità di lavorare e mantenere la loro numerosa famiglia. Ci sono sicuramente tanti altri piccoli progetti, mi sono da poco laureata in ambito sportivo e collaboro con l’Università di Salerno che ci ha dato disponibilità a realizzare una sala sport perché la salute lì è molto precaria. Ci sono malattie di cui si parla poco come il diabete ma ci sono; quest’anno ho sperimentato l’umiltà, la possibilità di essere sempre membro attivo della loro vita».
Nove anni fa il primo viaggio, come nasce questa voglia di partire per una terra così lontana e così pericolosa?
«Vengo da una realtà complicata a livello di salute e quando ho superato questi ostacoli mi sono messa in discussione, mettendomi al servizio di altri. Era un 6 gennaio ed ero ad una festa della Santa Infanzia Missionaria quando comparirono le foto di questi bambini; da lì è nata la decisione di partire. Durante il mio primo viaggio avevo davvero paura non conoscendo il luogo né nulla ma col tempo la paura è scomparsa perché, nonostante le difficoltà, si creano importanti legami indissolubili soprattutto con i bambini e i sacerdoti che attendono il nostro arrivo».
Una situazione poco pericolosa, qual è la sua più grande paura e quale pericolo rischia di correre?
«Attualmente, da circa 7 anni, ci sono attentati per la questione legata alla politica, alla religione; ci sono sparatorie, atti intimidatori. Infatti, poco dopo l’arrivo in aeroporto ci è giunta voce di un attentato. Non nego che ci sono difficoltà ma le persone del posto ci tutelano, non ci fanno usare il telefono per le intercettazioni; ci auguriamo che anche lì arrivi un po’ di pace, se lo meritano».
Toccare per mano la povertà ha portato dei cambiamenti nella sua vita…
«Ho sperimentato la pazienza e la voglia di non avere il cellulare di ultima generazione, non aspettarmi l’impossibile ma riutilizzare gli oggetti senza spese superflue. Quando ritorno è sempre complicato adattarmi nuovamente a questa vita, vorrei fare dei paragoni ma non è possibile perché è chiaro che la vita è diversa. Riesco ad accogliere le difficoltà, a gestirle diversamente. Ho imparato a saper aspettare».
Usa i social per raccontare, far conoscere mondi e culture diverse. Che riscontro ottiene da Salerno?
«Ci sono difficoltà economiche anche a causa del covid e della guerra ma sappiamo dire grazie per ogni donazione, anche minima. C’è solidarietà, collaborazione: proprio l’economo mi ha detto che il prossimo anno invieranno palloni, magliette per permettere a questi bimbi di giocare a calcio. C’è tanto dietro, una goccia nell’oceano che può portare frutti importanti. Lavorativamente, ho grande riscontro e sostegno, permettendomi di lavorare a distanza; anche a loro devo questo e alla mia famiglia che mi aiuta tanto, mi supporta. Lo stesso vale per chi scegliere di donare un contributo, anche piccolo, perché è sempre importante. A volte, basta anche una telefonata e oggi i social aiutano a tenerci in contatto».