Olga Chieffi
Più ingialliscono le pagine dello spartito di Traviata e più forte penetra e affonda il loro profumo nella nostra memoria. Il suo terzo atto, l’immagine della morte di Violetta, annunciata sin dal primo preludio, spezza anche i cuori di pietra, lacrime, preziose lacrime, pioveranno sinceramente ad ogni sua rappresentazione, sugli amori consunti di Alfredo e Violetta, fino alla fine dei tempi. Il preludio dell’ultimo atto è racchiuso interamente nella parola sottile. Sottile, nel senso latino di gracilis, exilis: la sentenza di morte per mal sottile è pronunciata dal primo violino solo, che nelle sue lente volute, ora ascendenti, ora discendenti, esprime la poesia della stanchezza e dello smarrimento, la vanità di ogni speranza nel futuro e un rimpianto desolato della vita che si dilegua. Chi avrebbe potuto pensare ch’era in potere della musica di realizzare l’ambiente d’una camera tutta chiusa, verso l’alba d’inverno, dove si veglia un malato, prima che fosse scritto questo preludio? Tutto dice l’inutilità di ogni rimedio e di ogni sforzo contro l’ineluttabile destino che incalza. I ricordi dei momenti felici della passione non sono che dolori lancinanti per la morente; mentre Violetta scorre con gli occhi la lettera di Germont annunziante il prossimo, ma ormai tardivo ritorno di Alfredo, l’orchestra riprende uno dei temi più intensi del primo atto “Di quell’amor ch’è palpito”, in pianissimo, creando così il senso di una distanza irrevocabile, di una impossibile reintegrazione del passato. L’arte brucia l’istante e Verdi in questa scena riesce a fermare il tempo, nell’attesa di un evento tanto doloroso e sublime. La massima concentrazione è raggiunta dall’Andante mosso “Addio, del passato…”. L’aria, quasi arioso, è trattata con molta libertà e va per accenni sul sentiero dei ricordi, verso l’oblio ultimo, con frasi interrotte da musica che fu. E’ l’inno dimesso, crudele e lapidario alla vita negata. Alfredo si potrà concedere solo il dolce e innocuo sollievo della pietà per la morente e del rifugio campestre “Parigi, o cara, noi lasceremo….”, non il rischio della passione. Le ultime pagine di Traviata sono una luce che si spegne, lenta e inesorabile, un’ombra che scende fatalmente ed è nelle parole di Violetta: “Ma se tornando, non m’hai salvato”, otto battute di recitativo che per la loro forza drammatica contano più di un’aria. Non c’è il grido, nemmeno nell’ultima ribellione alla morte, nemmeno nell’impetuoso. “Gran Dio! Morir si giovine!”, ma solo l’ineluttabile e la cupa rassegnazione. Violetta dona ad Alfredo il suo ritratto, da consegnare come regalo di nozze alla futura pudica vergine, specificando che c’è chi prega per loro in cielo – vendetta efferata! Che almeno tenga rimorso! Tosse, rantoli, emottisi, ma la vita continua “Tutta Parigi impazza, è Carnevale!”. Si ode negli echi sonnolenti che alleggeriscono l’aria, fruscii soffici e spenti d’un corpo che si spoglia: forcinelle, spilloni e stecche sottilissime di osso di balena sono ormai per terra; resta il gemito d’una voce buia e bagnata di pianto, tra un basso e sontuoso volo di veli, Violetta cade sull’etereo suono del violino che ricorda la prima frase d’Alfredo, chiudendo quest’opera che muore d’amore. Disadorna e ricchissima, segreta e scintillante, sarà la Traviata, ospite del cortile della Reggia di Caserta questa sera alle ore 21, con una “Pretty Violet” in cui già aleggia la morte per lei che osserva con occhi disperati la vita che le sfugge e le rimanda bagliori e illusioni di un passato fastoso e doloroso E’ ora il ricordo l’unica salvezza dall’erosione del Nulla, una Traviata contagiosa per vitalità, ma capace anche di alludere ad atmosfere da «Grand Macabre», si svolgerà sul piccolo palcoscenico ove la morte, è sempre in scena. Dall’ iniziale visione di Violetta, una Gilda Fiume splendida, Già applauditissima nel ruolo a Salerno. Uno spazio dove si agitano ombre, lo sfacelo di un mondo che si decompone fisicamente e moralmente. A fianco della Fiume, il cast schiera, il tenore Stefan Pop e il baritono Ariunbaatar Ganbaatar, ritroviamo la bella voce di Miriam Tufano in Flora, Annina sarà Miriam Artiaco, Gastone Vincenzo Peroni, il barone Douphol Donato Di Gioia, Il Marchese d’Obigny Costantino Finucci, il dottor Grenvil Carlo Striuli, Giuseppe Paolo Gloriante, un domestico di Flora Michele Perrella, un commissionario Antonio De Rosa. Sarà Daniel Oren sul podio della Orchestra Filarmonica e del Coro del Teatro “Giuseppe Verdi” di Salerno, diretto da Francesco Aliberti, mentre perle danze i primi ballerini solisti saranno Anna Chiara Amirante e Alessandro Staiano.





