Umberto Orsini plays Ibsen - Le Cronache
Spettacolo e Cultura

Umberto Orsini plays Ibsen

Umberto Orsini plays Ibsen

Stasera e domani, ancora, il sipario del teatro Verdi si leverà su “Il costruttore Solness” il più difficile e poetico dei drammi ibseniani, per l’eccezionale regia di Alessandro Serra

Di OLGA CHIEFFI

Un maestro, in assoluto tra gli attori più carismatici del teatro italiano come Umberto Orsini è ospite, ancora stasera e domani, alle ore 21, del Teatro Verdi di Salerno con “Il costruttore Solness” di Henrik Ibsen, diretto da Alessandro Serra, definito come il più impressionante e il più difficile dei drammi ibseniani, forse, il più poetico. Henrik Ibsen, uomo dall’aspetto di tardo burocrate, rappresentò il contrasto fra un corpo tozzo ed uno spirito alato. In Ibsen vecchio, il contrasto diventò drammatico fra il corpo in decadimento e il sempre più giovane spirito. Il costruttore, scritto negli ultimi anni, nasconde il dramma del contrasto fra il peso di settant’anni di vita e una disperata sete di giovinezza, e in quel costruttore Ibsen vede se stesso. Halvard Solness, che ha la voce, appunto, di Umberto Orsini, con l’angoscioso pensiero dei giovani che lo soppianteranno va malinconico verso la vecchiaia. Vi fu un tempo in cui visse vita modesta e felice coi figli e la moglie, donna mite e semplice, in una vecchia casa: aspettava, allora, quasi, che un incendio gliela bruciasse per rifarne un’altra nuova e bella. L’incendio gliela bruciò, infatti; ma i figli morirono nel rogo. Ricostruì la casa, e costruì molte altre case da allora; case per gli uomini, egli che, prima, aveva costruito solo chiese, che gli offrirono la fortuna, rivoluzionando la sua vita; non gli dettero, però, una nuova felicità. Non c’è rivoluzione, infatti, senza sacrificio. Ed ecco, nell’ora triste, della vecchiezza che avanza, presentarsi a lui la giovinezza, Hilde, interpretata da Lucia Lavia,  che rappresenta la voce e lo specchio della coscienza del costruttore. Per lei Solness sentirà rivivere la giovinezza, in un ultimo, tardivo e disperato tentativo di porre rimedio e recuperare il tempo perduto, per lei costruirà un castello, e vorrà, secondo la tradizione, e come usava un tempo, quando non soffriva di vertigini, salire sulla sommità per appendervi la corona augurale, ed appena l’avrà appesa, precipiterà nel vuoto. Vinto? No. Vincitore: “Egli ha raggiunto la cima- grida Hilde che adombra anche un suo abuso da bambina, che ha udito dei suoni d’arpa nell’aria – Il mio costruttore! Il mio costruttore!” Nel tragico epilogo, il costruttore comprenderà di aver abbandonato i sogni, di aver rinunciato all’amore, di aver vissuto inseguendo inutilmente successo e potere. La giovane donna cercherà di aiutarlo in questa ricerca della verità. Come tutte le donne di Ibsen, aquile in gabbia, che faticano ad adattarsi alla menzogna sociale, alla dipendenza affettiva, anche Hilde è forte e desiderosa di trovare una via d’uscita…I castelli in aria smarriti, rappresentano una salvezza, spazi mentali dove immaginazione e fantasia danno vita a mondi fantastici, fatti di desideri e speranze. I quattro corsivi, tutti rigorosamente di Ibsen, sottolineano con forza la forza del desiderio, la spinta istintuale alla trasgressione. S’intende che Ibsen è un autore morale, che legge abitualmente le Sacre Scritture, come è normale per i luterani, e che non mette mai in scena adulteri. E’, però, il più acuto di tutti nel descrivere l’invivibilità dell’inferno coniugale, e nel mettere a fuoco le pulsioni inconfessabili. Il dramma, tuttavia, curiosamente, può anche essere letto come un feroce combattimento fra l’uomo e Dio, come il tentativo disperato di Solness di sottrarsi al proprio destino: ha cominciato costruendo chiese, poi si è ribellato, mettendosi a costruire unicamente focolari per gli uomini; adesso – sotto la fascinazione di Hilde – vorrebbe farsi costruttore di enigmatici castelli in aria, che alludono a modelli esistenziali fondati sulla attrazione fatale (ma asimmetrica) di persone di diversa generazione. Eccezionale l’idea del regista Alessandro Serra, di torri mobili nere, claustrofobiche  a metà tra desolante realtà e utopica illusione, un vero e proprio castello in aria tra salde fondamenta terrene solido e ben costruito, in cui vengono mossi attori di importanti doti, che hanno splendidamente affiancato i due protagonisti a cominciare da Renata Palminello, Aline, Pietro Micci che ha dato voce al Dottor Herald, Chiara Degani Kaja, Salvatore Drago, Ragnar e Flavio Bonacci nel ruolo di Knut Brovik. Applausi scroscianti hanno abbracciato l’intera compagnia.