Olga Chieffi
Sul Rigoletto ha sempre agito la censura a cominciare dal dramma al quale è ispirato, “Le Roi s’amuse” di Victor Hugo, cassato dai palcoscenici di Parigi alla sua apparizione nel 1832, quindi la censura austroungarica per Verdi e la “maschera” fittizia del ducato di Mantova di cinquecentesca memoria. Giandomenico Vaccari ha pensato di trasporre il tutto nel 1941 nella Parigi ove Pétain instaurò un regime appoggiato dai movimenti fascisti, nazionalisti e monarchici presenti in Francia, dove fino all’11 novembre 1942, appunto, il governo di Vichy rimase formalmente estraneo ad azioni belliche, e venne considerato ufficialmente a capo di uno stato neutrale con rapporti diplomatici con entrambe le fazioni, dalla Germania agli Stati Uniti d’America. Qui il Duca sarà un malavitoso dedito allo sfruttamento della prostituzione, al delitto su commissione e alla collusione. Scene e costumi, firmati da Alfredo Troisi, dalle tonalità grigie e nere, con la sola eccezione dei colori usati per le due donne, rappresentanti la libertà e l’amore, Gilda e Maddalena. Studenti in sala ieri mattina, al teatro Verdi, ospiti del progetto educational, per la presentazione alla stampa, introdotta da Antonio Marzullo, il quale ha ripreso quel titolo che inaugurò il nostro massimo, dell’ ultima opera che chiuderà la prima parte della stagione lirica, con parte del cast presente, a cominciare dalla regina del belcanto Jessica Pratt, la quale impersonerà Gilda e, con lei, il baritono Roman Burdenko, che ricordiamo avrebbe dovuto essere il buffone nel 2022 e il tenore Arturo Chacòn-Cruz, che sarà il Duca di Mantova, per ascoltare l’interpretazione che darà Daniel Oren di questo suo ennesimo Rigoletto, alla testa della Filarmonica Salernitana “Giuseppe Verdi”. “Ah! La maledizione!” questa esclamazione in tre parole appena, chiude il primo e il terzo atto del Rigoletto, scintilla della torbida e sanguinosa vicenda, quel fuoco che covava sotto le ceneri e aspettava soltanto un tal pretesto per esplodere, in quella musica che segna la svolta di Verdi. Daniel Oren ha indicato due punti focali, attraverso cui ha angolato il suo vedere, per far rinascere la partitura. Una delle caratteristiche del Rigoletto è quella tendenza ad abbassare, a involgarire, almeno in parte, e di proposito, il linguaggio e le situazioni del melodramma, da sempre alti e sublimi di ambienti, personaggi, sentimenti, un’ altra, è la volontà di incrinare, frammentare, talvolta anche forzare le strutture del melodramma stesso, solitamente regolari e ripetitive. Ed ecco che Oren cercherà l’eleganza, evitando di cadere nella trappola del zum-pa-pa, zum-pa-pa, che secondo i tedeschi, sostenitori di Wagner, era troppo ammiccante, scontato, in una parola: popolare, «La-don-na-è-mo-bi-le-qual-piu-ma-al-ven-to». Quindi, affacciandoci in teatro, contrasti forti e improvvisi, da parte del direttore, dove tanto è affidato all’orchestra, che dovrà avere un amalgama perfetta, per andare a sostenere le voci sole, in particolare nei duetti e nei famigerati assieme, in cui “i personaggi, questi prigionieri del melodramma che tentano di liberarsi contorcendosi michelangiolescamente, bruceranno come pepe di Caienna che arde, facendo nascere riflessi e balzare lampeggiamenti, frantumandosi su essi come una bottiglia di vetriolo” (Bruno Barilli “Il paese del melodramma”) “Per far questo – ha dichiarato Daniel Oren – sulle tracce di Toscanini, bisogna allestire il cast dai personaggi cosiddetti minori, che devono essere eccellenti”. Leggiamo, allora, che a completare il cast ci sarà ancora una volta il conte di Monterone e lo Sparafucile di Carlo Striuli, la Maddalena di Alisa Kolosova, ritroviamo l’ottima voce di Miriam Tufano in Giovanna, e ancora il Marullo di Italo Proferisce, il Matteo Borsa di Vincenzo Peroni, e ancora Michele Perrella che sarà Il conte di Ceprano, con Miriam Artiaco la contessa, che sarà anche il paggio e un usciere Antonio De Rosa. Quanto è attuale Rigoletto? Ce ne accorgeremo. Giandomenico Vaccari le ha definite “allusioni”, ma è tutto più che attuale, altrimenti non avrebbe il crisma dell’universalità dell’arte. “Niente si crea, niente si distrugge, tutto ….si degrada”, direbbero coloro i quali sono realisti….più del re! Cosa resta, oggi di quei cortigiani? Resta, ahimè, il trogolo dei loro Mecenati o, almeno, la speranza di sedersi al desco, adulando e sperando di poter rendere un servigio, anche senza possedere le giuste competenze. Una strana prostituzione, perché aspirano essi stessi a pagare pur di essere “prostituti ufficialmente riconosciuti”. Miserie umane da guardare con cum-passione e commiserazione. Cosa altro può fare chi non sa operare se non all’ombra del potente che può “coprire”? Cosa resta all’aspirante, al capoufficio, al funzionario, al sindacalista, al giornalista, alla velina e, purtroppo, oggi, anche all’artista, che, dimentichi, del loro compito, cercano solamente l’apparire, costretti a compensare le loro manchevolezze con un quotidiano “….specchio specchio delle mie brame, chi è il più bravo del Reame?…”. Giandomenico Vaccari le ha definite “allusioni” ma è tutto più che attuale, altrimenti l’opera non avrebbe il crisma dell’universalità, dell’arte. Queste le riflessioni balenateci nel corso della prova generale del Rigoletto che andrà in scena domani sera alle ore 21 e il 1 giugno alle 18, con Daniel Oren sul podio di una pur consapevole Orchestra Filarmonica Salernitana, a far scattare, banda di palcoscenico e coro, formazioni preparate e dirette da Francesco Aliberti, unitamente ai maestri sostituti, tra un pullular di video-camere, tecnici, fotografi, fini dicitori, allo scopo di imperversare sui social tra videetti, annunci, onori e felicità, per mettere a punto uno spettacolo dalla tessitura complicata, specialmente nel I atto che prevede anche le danze coreografate da Pina Testa, che andrà in scena con praticamente solo la generale, con cast al completo. Alla fine, Gilda, che ha scelto la morte per libertà e per proprio rispetto, cadrà sotto lo “strale” della “giusta vendetta” di Rigoletto, giusta secondo lui, che inutilmente si è ribellato ad una sorte ingiusta e, quindi, attirando di nuovo la punizione del “Dio tremendo”. Ironia impietosa. Il “duca” stavolta assisterà al riconoscimento del cadavere, in un finale dove il male e il dolore vinceranno senza appello. La colpa rimane dei vecchi: “Ah, la maledizione!”.





