di Olga Chieffi
Questa sera, alle ore 20, in un massimo cittadino sold out da giorni, al pubblico dei musicofili, che si incontra ad ogni appuntamento musicale e culturale, si mescolerà quello dei fans di Ezio Bosso, che da sabato, quando sono iniziate le prove della performance cui assisteremo oggi, hanno aperto la caccia al musicista, per rubargli un selfie illuminato dal suo disarmante sorriso. Non sanno dire perché lo inseguono, la musica, poco, visto che non li abbiamo mai incontrati in una sala da concerto, il personaggio televisivo, forse, ma più che altro, è il messaggio che lancia, un messaggio di speranza, col quale si può oltrepassare ogni oltre limite. Non si può, presentando Ezio Bosso, non pensare ai due ori della campionessa mondiale paralimpica italiana di dressage, Sara Morganti, affetta da Sla, una diagnosi infausta, una sentenza di morte, la quale ha intitolato la sua Kur del freestyle, una kur svolta interamente al passo, “Walk of love”, trasformando, così, la fatidica domanda “perché a me?”, in “perché non a me?”. Questa sera, alle ore 20, Ezio Bosso, dopo aver trascorso la mattinata di ieri tra i giovanissimi musicisti della Scuola Media Monterisi, salirà sul podio alla testa dell’ Orchestra Filarmonica Salernitana, che ritrova dopo il concerto nell’area archeologica di Paestum. Il programma verrà inaugurato dalla Sinfonia n°1 Oceans, datata 2010, con violoncello solista concertante, che saluterà la partecipazione di Reja Lukic, della quale ascolteremo solo tre tempi, il primo, “Allegro Giusto, “To plough the waves”, dedicato all’oceano Atlantico, il quarto, l’Adagio, “White Ocean”, che schizza l’Antartico e il quinto, Cadenza. Una pagina, questa sinfonia che nasce dal rumore della azzurra distesa. Non intendiamo mai tanto bene ciò che chiamiamo rumore di fondo che ha il mare, questo bailamme tranquillo o veemente che sembra stabilito là per l’eternità. Lungo il piano orizzontale stretto si scambiano senza posa cadute d’acqua, stabili e instabili che ognuno di noi, bestemmia, attende, sfida, ama. Questa agitazione si trova nell’udito di tutti noi, al di qua dei segnali definiti, al di qua del silenzio. Il silenzio del mare è un’apparenza, il rumore del mare è forse lo sfondo dell’essere. Il mare è certamente metafora di viaggio e Antonin Dvoràk affrontò la traversata del’ Atlantico per raggiungere l’ America, il Nuovo Mondo. La seconda parte della serata, quindi, saluterà la amatissima sinfonia dal Nuovo Mondo. La storia della partitura è naturalmente una storia americana, e parte da una donna. Non una donna qualsiasi, ma una signora di gran carattere, poco abituata a sentirsi dire di no. Fu lei, Jeanette Thurber, che nel giugno 1891 invitò Dvořák a New York per dirigere il National Conservatory of Music, una struttura a cui stava lavorando da alcuni anni, e il compositore accettò. Di forma sostanzialmente ottocentesca per stile e struttura, la sinfonia vive sia di elementi folclorici cechi sia di formule ritmiche e melodiche, derivate dalla tradizione americana. Infatti nel primo movimento riecheggia il celebre spiritual “Swing low, sweet chariot”, mentre il secondo, con lo struggente tema del corno inglese, e il terzo, sono ispirati a un poema epico dei Pellirosse. In realtà di mondi ne intreccia almeno tre: quello scoperto con l’America, quello della Mitteleuropa e quello dell’antico Oriente. Il risultato è di grande “felicità” musicale, ben nota anche al grande pubblico.
Il movimento più celebre della Sinfonia è il Largo, che si apre con un corale modulante degli ottoni seguito da una nostalgica melodia del corno inglese; tema ripreso alla fine del movimento, dopo un episodio dal carattere pastorale, introdotto da un disegno staccato dell’oboe, caratterizzato da un’amplificazione del tessuto orchestrale, nella quale si innesta ancora il tema ciclico. Questo movimento e il successivo Scherzo sono entrambi ispirati a un poemetto di Henry Longfellow, intitolato Song of Hiawatha, che Jeannette Thurber aveva donato al compositore: il Largo evoca i funerali della sposa dell’eroe; lo Scherzo richiama una danza di pellirosse nella foresta, che si trasforma in una musica piena di vitalità, costruita con una parte principale divisa in due episodi distinti, un doppio Trio, e una coda che ripresenta più volte il tema ciclico. La Sinfonia si conclude con il trascinante finale, Allegro con fuoco, che ricapitola i temi della Sinfonia, riproponendo il tema principale con la forza di una apoteosi, e che appare, nel suo sviluppo multiforme e nella duttilissima orchestrazione, come una perfetta sintesi delle componenti boeme, mitteleuropee e americane, del linguaggio sinfonico di Dvoràk.