Toti, Falanga, Sgarbi, Spano, et alii. Ma l’amichettismo non era di sinistra? - Le Cronache Attualità
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Toti, Falanga, Sgarbi, Spano, et alii. Ma l’amichettismo non era di sinistra?

Toti, Falanga, Sgarbi, Spano, et alii. Ma l’amichettismo non era di sinistra?

di Aldo Primicerio

Lo disse ai microfoni di Rete 4 Giorgia Meloni nel gennaio del 2024, evidentemente per annunciare una svolta. Ed invece, a distanza di meno di un anno, la questione morale è sempre più incalzante in Italia. Anzi in questi due anni si è amplificata. Dalle inchieste in Calabria e Sicilia su mafia e politica, alle indagini su Bari. Dall’arresto del presidente della regione Liguria, alle custodie cautelari nei confronti del sindaco di Poggiomarino. Dalle attività investigative che riguardano diversi consiglieri regionali, fino alla vicenda del quadro del Seicento senese rubato e taroccato da Sgarbi, che ora rischia una condanna a 12 anni di carcere se non riuscirà a dimostrarsi estraneo. E fino alla vicenda disgustosa di Vincenzo Spano, capo di Gabinetto del ministro, dimessosi 11 giorni dopo essere stato nominato. Senza scendere nei dettagli, perché crediamo siano già noti. Faccia quindi autocritica il neo-ministro della Cultura Giuli, invece di minimizzare definendo “chiacchiericcio mediatico sopravvalutato” la cronaca dei giornali italiani. Lui che non poteva non saper tutto. E quindi abbia il buon senso di farsi da parte. Ha completato lo “sputtanamento” del governo Meloni, che all’esordio gridò al mondo intero che l’Italia tornava ad una politica seria. Alla politica corruttiva e delinquenziale di molti colletti bianchi la magistratura non fa sconti. E certa politica che fa, come risponde? Mettendo sotto accusa le toghe italiane e snudando una realtà su cui tutti dovremmo riflettere. Che, da un lato, una sola pecora nera, riportandoci al clima piduista degli anni ’90, fa generalizzare il giudizio sui 9.300 magistrati italiani seri che fanno il loro dovere. Dall’altro, la marea dei politici corrotti e perversi spinge a galla una questione morale su cui la maggioranza di governo, ma, diciamolo, tutta la politica in generale anche con sinistra e 5S, fa un glaciale silenzio. Anzi la destra fa di più, perché redige un progetto di legge per far fuori dalla Commissione Antimafia Roberto Scarpinato e Federico Cafiero De Raho, ex-magistrati oggi in Parlamento eletti dal M5S. Una mossa voluta dalla neo-presidente della Commissione Chiara Colosimo, contro la cui elezione si erano schierati i familiari delle vittime di mafia, ritenendola persona amica di Luigi Ciavardini, terrorista nero condannato per la strage di Bologna. Noi non lo sottoscriviamo perché non ne sappiamo. Ma è certo che, con tutto ilrispetto per la Colosimo, la maggioranza poteva secondo noi fare anche una scelta diversa.

 

Insomma, una cosa è certa. In Italia la questione morale non esiste più.

 

Non c’è più se un “ministro dell’ingiustizia”, un ministro pontista dello Stretto, e politici ondivaghi come Renzi e Calenda, vogliono cambiare la Costituzione sulla separazione dei poteri tra politica e magistratura. Accade perché alla questione morale si preferisce l’abuso di potere. Quell’abuso che fa giudicare sbagliata la interpretazione della sentenza della Corte di Giustizia Ue sui porti sicuri, per permettersi di farne una legge ad hoc sul nuovo centro di accoglienza in Albania, in attesa di rimpatri o di chissà cosa. E la questione morale finisce poi nel pattume dei rifiuti quando la figlia di un’ex-presidente del Consiglio dice che i giudici, certi giudici sono nemici del Paese. E quando un amico stretto dello stesso ex-Presidente, condannato definitivamente per associazione mafiosa, attacca le sempiterne toghe rosse. Capirai…! Mi verrebbe da dire loro: abbiate il pudore di guardarvi dentro e dietro, e di fare silenzio.

Ma un pensiero va anche all’eterna partitofilia di alcune toghe, da dismettere perché così si svaporano l’indipendenza e l’autonomia del magistrato. Anche se viene definita una loro “colpa”, l’arma del giudice oggi è il suo nobile assoggettamento solo alla legge, il suo esemplare rapporto vincolante, l’imparzialità ed oggettività maniacali nei confronti di ogni potere che intenda ostacolare o negare i diritti e le libertà fondamentali. Ecco spiegata l’interpretazione della norma fornita dalla Corte di Giustizia dell’Ue. Non è stata certo sbagliata, come maldestramente detto dal ministro Nordio, ma applicata nel nostro ordinamento, conferendole il primato rispetto a norme nazionali interne perché ritenute in contrasto con esse. E questa posizione indiscutibile forse è stata compromessa proprio dai giudizi critici dei magistrati, cosiddetti di sinistra, nei confronti del governo Meloni in materia di migranti, denunciandone una pericolosità superiore persino a quella dei tempi di Berlusconi.

 

Liberi di esprimere i loro pensieri anche i magistrati su questioni “politicamente sensibili”. Ma senza far politica e senza collateralismi con i partiti

 

Anche i magistrati infatti godono di diritti fondamentali, come quello di esprimere il loro pensiero. Lo sancisce lo Statuto Universale del giudice, che prevede che “i giudici godono, come tutti i cittadini, della libertà d’espressione (art. 3-5 statuto). Anche il Consiglio Consultivo dei Giudici Europei ha stabilito che il giudice gode del diritto alla libertà di espressione come qualsiasi altro cittadino e che “oltre al diritto individuale del giudice, i principi di democrazia, separazione dei poteri e il pluralismo richiedono la libertà dei giudici di partecipare ai dibattiti di interesse pubblico soprattutto per quanto riguarda questioni relative all’ordinamento giudiziario”. Lo ha scritto il magistrato Andrea Reale. Per il quale è ’ chiaro che “nell’esercizio di questo diritto essi devono comunque dar prova di riserbo e comportarsi sempre in maniera tale da preservare la dignità delle loro funzioni, così come l’imparzialità e l’indipendenza della magistratura”. Ciò significa che il magistrato non deve fare politica, né fuori, né dentro le aule di giustizia, e che ove coltivasse un pregiudizio in una certa materia o affare, ha l’obbligo morale, prima che giuridico, di astenersi dalla trattazione dello stesso. La magistratura deve fare sempre autocritica e deve evitare qualsiasi collateralismo con i partiti politici. E sono quindi inaccettabili gli insulti, gli attacchi di numerosi politici, le cui denigrazioni appaiono come una palese interferenza nei confronti della magistratura. Si pretende di fare uso dell’autorità governativa e del potere della legge d’urgenza per forzare il dovere interpretativo del magistrato, che è chiamato a tutelare i diritti fondamentali, specie quelli dei più deboli. E non si comprende l’obiettivo di chi divulga una email privata di un giudice, che si limita ad avvertire sull’agire pericoloso dell’attuale politica. Né è accettabile che l’autorevolezza della magistratura italiana debba dipendere dalla interpretazione faziosa di un messaggio personale di un magistrato che esprime liberamente il suo pensiero su azioni e fatti politicamente assai sensibili.

Ecco perché oggi non esiste più la questione morale italiana, affrontata da Berliguer con un approccio esemplare che viene ricordato dalla Rai a 40 anni dalla morte. Perché l’etica, la questione morale, da generale, riguardante i partiti come macchine di potere, oggi si è ribaltata in questione personale, legata ad un cedimento etico del singolo. Chissà forse perché legato al cedimento di alcuni pilastri-chiave della nostra società di un tempo come lo Stato e la Chiesa, oggi in forte declino. Ma questo è un altro discorso, troppo grande e complesso per essere liquidato in qualche riga. Ne riparleremo.