Tosca: il lucernario dell’infinito - Le Cronache
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Tosca: il lucernario dell’infinito

Tosca: il lucernario dell’infinito

Presentato ieri mattina a Palazzo di Città il Capolavoro pucciniano che porterà la firma del binomio Daniel Oren-Alfonso Signorini, regista che si cimenta e debutta col suo quinto titolo. Cast stellare con Maria Josè Siri, Freddie De Tommaso e Gabriele Viviani 

Di Olga Chieffi

Sarà una Tosca “Con scenica scienza” quella firmata da Daniel Oren e Alfonso Signorini, presentata ieri mattina a Palazzo di Città, alla presenza del Sindaco Enzo Napoli. Alfonso Signorini, al suo debutto registico con questo capolavoro pucciniano ha iniziato solo nel 2017 la carriera nella lirica, sotto l’egida di Alberto Veronesi al festival di Torre del Lago, con Turandot. Prove di regia lunghe e accurate ispirate all’incontro di Giacomo Puccini con il linguaggio cinematografico, ma noi ci sentiamo in questo contesto di sostituire il termine “linguaggio” con “modo di rappresentazione”. Non abbiamo potuto fare a meno di affacciarci alla prova generale per vivere una prima della premiere sulla quale si alzerà il sipario questa sera alle ore 21 e il primo atto godrà degli ori di Sant’Andrea della Valle, il secondo del rosso del sangue e della passione di Mario Cavaradossi, di Tosca e dello stesso Scarpia che morirà, mentre il terzo sarà illuminato della luce livida dell’alba romana sui merli di Caste Sant’Angelo, un’alba di morte, ma anche di speranza. “Ho seguito la musica – ha dichiarato Alfonso Signorini – mi ritengo al servizio di essa, chiunque si accinga a metter mano ad una regia dovrebbe conoscere la differenza tra un sol diesis e un si naturale (pare che il giornalista trascorra, tra la direzione di Chi e il Grande Fratello Vip, ben due ore al giorno al pianoforte a studiare). La modernità dell’opera non è far fumare il sigaro a Lady Macbeth e farla cantare, ponendola anche in difficoltà, in un ascensore – chiarisce il giornalista – questi sono sotterfugi per ottenere popolarità. Per me, essere moderno vuol dire rendere fruibile a un pubblico contemporaneo un tipo di linguaggio che appartiene a epoche diverse. La musica è capace di arrivare al cuore di tutti, bisogna solo catturare la bellezza della pagina. Sono a Salerno invitato da Daniel Oren e non lo mollo, spero di ritornare nel suo teatro ove alcuno ha mai preteso pause, poiché qui si fa musica per passione”. Al fianco di Alfonso Signorini il costumista Mario Dice stilista campano di Montesarchio. “Ho creato abiti secondo il mio stile e punto di vista, in un contesto davvero creativo che dà la possibilità di riversare in palcoscenico tutto il proprio talento al suo interno”. Antonio Marzullo e Daniel Oren hanno allestito per questa Tosca un cast per “fare” musica dove il fare è inteso alla greca, ovvero quel poiéo che ha la stessa radice di poesia. Nei ruoli principali tre campioni, a cominciare da Maria Josè Siri, nel ruolo del titolo. Al suo fianco, il Mario Cavaradossi di Freddie De Tommaso, per la prima e Carlo Ventre per la replica del 2 giugno, mentre il famigerato barone Scarpia sarà Gabriele Viviani. Nomi noti per i ruoli del sacrestano che sarà l’insostituibile Angelo Nardinocchi e Carlo Striuli in quello di Cesare Angelotti, Enzo Peroni il segugio Spoletta, mentre Maurizio Bove Sciarrone, il carceriere Antonio Palumbo e il pastorello Giorgia Mauro stasera e Melody Sarno per la replica. Personaggio e non persona è Floria Tosca, unica donna in scena, la cui psicologia complessiva, pur valutando le infinite contraddizioni dell’animo umano, risulta assai poco credibile, in quanto formata da tante diverse psicologie. Psicologie verosimili che, prese ad una ad una, schizzano la globalità e diventano quel motore d’un teatrale gioco degli opposti. Al di là degli scatti umorali e della teatralità artificiosa di Tosca, “personaggio strategico”, Puccini da buon toscano incline alla rima e alla bestemmia ripeteva “Questa musica la può scrivere Dio e poi io”. Se il tempo discontinuo del Novecento, nasce con Bohème, il neonato XX secolo è ribadito in Tosca dalle sue tinte plumbee, gli ottoni laceranti, la furia del declamato, un timbro sinistro che torna con insistenza sulle tessiture estreme, livide con inquietanti zone vuote al centro, con un uso molto frequenti dei contrabbassi. La morte e il male sono sempre presenti in Tosca ottoni, bassi e cassa sono gli strumenti di Scarpia, il barone, con le sue perversioni proiettate verso espressionismo e dodecafonia, con quei suoi tre accordi che si aprono alla “serie”, ma non all’uso, vent’anni prima che Schoenberg la teorizzasse. Scarpia “è” i tre accordi in testa all’opera, che racchiudono sadismo ed eccitazione sensuale, tra colpo di bastone autoritario in terra e l’ambiguo e viscido toccare le mani di Tosca col pretesto del segno della Croce. Là, dove nel mescolare sacro e profano tende in chiesa la trappola del ventaglio alla donna gelosa: “con un fazzoletto Jago ha fatto molta strada”. Scarpia esplode, poi, fisicamente nel corpo degli ottoni, giganteggia in tutta la sua crudeltà nell’acuto e al grave dell’ultimo accordo, come poi s’incarnerà nel grandioso cerimoniale del Te Deum, con il coro preparato da Francesco Aliberti e quello delle voci bianche istruito da Silvana Noschese. Accordi quelli di Scarpia in cui bisogna che gli interpetri, Viviani, Oren e in particolare l’orchestra, lascino intuire la duplicità di violenza e suadenza, brutalità e modi da barone, camera di tortura e vin di Spagna, racchiusa nel movimento dissonante di quinta diminuita e nella sensualità del movimento cromatico all’acuto. Tra i due, il pittore Cavaradossi, attaccato alla vita e al piacere con ingenuità poetica, non è che il signor tenore, al quale non gli è permesso che cantare due romanze “Recondita Armonia” e “Lucean le stelle”, l’addio alla vita, i ricordi felici, nell’evocazione dell’ancia del clarinetto. La cornice dei luoghi, mossa con estrema abilità fra una chiesa fastosa, una sala di palazzo con annessa stanza dei tormenti, e il carcere per i condannati a morte: è tutta qui la Tosca, schizzante una Roma tra fede e potere e il conflitto fra la voluttà e la carne martoriata, fra la sete vitale e l’oppressione, il tutto elevantesi a monumento sepolcrale, nelle scene di Alfredo Troisi. La bellezza e gli amori celebreranno un forzato trionfo davanti al plotone di esecuzione.