di Olga Chieffi
Tenor’s Pride giovedì intorno alle ore 21, in duomo, con i migliori cantanti del coro del teatro Verdi di Salerno, i quali tra una recita di Rigoletto e l’altra, grazie al nostro Antonio Mar(z)ullo, offriranno un récital in occasione del centenario della morte del loro nume tutelare, Enrico Caruso. Un tributo, questo, che ha attraversato i massimi festival campani, per un nome che è divenuto un mito e che da “emigrante” artistico ha portato l’opera lirica e le canzoni napoletane a essere conosciute e cantate in tutto il mondo. La sua storia, senza bisogno di essere “romanzata”, rappresenta un modello quasi simbolico del riscatto sociale attraverso l’arte che da sempre affascina il pubblico: raggiungere il sogno partendo da una condizione sociale di povertà e disagio. Giovedì sul palcoscenico, approntato nell’atrio del duomo per questo periodo, che ci condurrà al 21 settembre, a quella festa patronale che, ormai, manca da due anni, saliranno i tenori Achille Del Giudice, Salvatore Minopoli, Antonio Palumbo, Paolo Gloriante, Salvatore De Crescenzo, Davide Verde e Nazareno Darzillo, supportati al pianoforte da Maurizio Iaccarino. Ad inaugurare la serata sarà Salvatore Minopoli, che si porrà con “Mamma” sulle tracce di Beniamino Gigli. Firmata dalla coppia Bixio – Cherubini, venne lanciata nell’omonimo film di Guido Brignone dal celebre tenore di Recanati, che la canta durante la traversata oceanica, sul piroscafo diretto a casa, davanti a una folla di emigranti ammutoliti e rapiti. Il film esce nel 1941, in piena guerra e la canzone diventa subito un classico che negli anni verrà incisa da molti eredi del grande Gigli. Achille Del Giudice, si cimenterà, invece, con “Mattinata”, di Ruggero Leoncavallo, che Enrico Caruso incise nel 1904, con lo stesso autore al pianoforte, una romanza dalla fresca e spigliata melodia, con la sua “Aurora di bianco vestita”, che potrebbe diventare oggi un augurio di rinascita per la nostra Italia. Ed ecco il Puccini de’ “La fanciulla del Est”, l’aria di Dick Jonhson del III atto, che sarà interpretata da Nazareno D’Arzillo. Il sentimento con cui Johnson dà l’addio a Minnie, “unico fiore” della sua vita, assume una sfumatura quasi eroica, di cui è prova anche il delicato accompagnamento dell’aria, la cui melodia viene ripresa, producendo l’impressione di assistere all’esecuzione di un innocente, un’opera che ci piacerebbe vedere rappresentata al più presto, nel nostro massimo. Abbiamo appena lasciato Gianluca Terranova e Piero Giuliacci cantare, l’aria clou di Pagliacci, ed ecco Paolo Gloriante vestire la giubba ed infarinare il volto, in onore di Enrico Caruso. E’ il canto struggente di Canio, dopo la scoperta del tradimento di sua moglie Nedda. Con la mente e il cuore in subbuglio, è costretto comunque a entrare in scena e a vestire i panni ‘divertenti’ del clown; un clown tragico, grottesco, che si veste di malavoglia e ancor più svogliatamente si dà in pasto al pubblico. Antonio Palumbo ci condurrà, poi, ne’ “Il paese del sorriso” di Franz Lehàr con l’aria “Tu che m’hai preso il cuor”, in cui il principe cinese Sou-Chong si dichiara alla giovane occidentale Lisa, disposto a inseguirsi tra Vienna e la Cina, sfidando le difficoltà derivanti dalle diverse culture che non li porterà però all’amore eterno. Beniamino Gigli verrà evocato anche da Davide Verde, che proporrà “Non ti scordar di me”, una melodia del 1935 di Ernesto De Curtis, che il grande tenore interpretò nell’omonimo film, mentre Salvatore De Crescenzo si trasformerà nel giovane Vittorio De Sica, protagonista di “Uomini che mascalzoni!”, per “Parlami d’amore Mariù” di Bixio, che nel 1932 divenne un successo della radio, colonna sonora di quell’italietta fascista, che correva verso il baratro. La seconda parte della serata vedrà i sette tenori tutti insieme in palcoscenico, per schizzare un acquarello dalla nostra Napoli e dai luoghi di Enrico Caruso, spaziando da Torna a Surriento a Core ‘ngrato, Funiculì Funiculà, ‘O Sole mio, lo stesso Caruso di Lucio Dalla, Granada e il gran finale con “Nessun Dorma”, per continuare a guardare le stelle senza mai abbassare gli occhi.