di Monica De Santis
Si dicono disponibili ad un confronto costruttivo, i rappresentanti del Sindacato Nazionale Area Radiologica – segreteria regionale della Campania, che in una nota inviata, attraverso il loro presidente Bruno Accarino, al governatore Vincenzo De Luca, nell’approssimarsi della scadenza del 30 aprile come termine ultimo per rivedere il provvedimento dei tetti di spesa per singola struttura, hanno esposto alcune criticità, domande e richieste di chiarimento. “Corre l’obbligo di rilevare che, a fronte di un provvedimento che ha assegnato i tetti per singola struttura anche al comparto della specialistica ambulatoriale così cambiando in maniera radicale e repentina la modalità di attribuzione delle risorse agli erogatori privati accreditati, la concertazione, pur richiesta e più volte evocata dalla Regione come passo fondamentale per la costruzione di un provvedimento condiviso, a tutt’oggi non è ancora stata osservata. – ha precisato Accarino – Eppure un cambio così epocale avrebbe richiesto tempi e modalità diverse, tra l’altro già enunciate ed anche queste purtroppo non osservate. Certamente avrebbe richiesto una riflessione sul momento così difficile e delicato che ha visto le sole strutture private accreditate rimanere aperte sul territorio a rispondere alle esigenze ambulatoriali della popolazione. E’ noto che tra il 2020 ed il 2021 l’attività ambulatoriale esterna nelle strutture di ricovero pubbliche e private non è stata erogata per ragioni di contenimento della diffusione del virus. La considerazione sulla contingenza storica avrebbe reso conto della ragione che ha fatto schizzare improvvisamente in alto la richiesta e la relativa spesa per i privati accreditati. Altro che comportamenti opportunistici! In ogni caso, se questi ci sono stati, è segno che chi aveva il dovere di vigilare sul corretto operato non lo ha fatto. Tuttavia il poco tempo a disposizione e i dati sporchi provenienti dalle Asl non permettono tutto e subito: infatti si paga lo scotto di aver utilizzato dati grezzi (e sporchi) in SoReSa (lordi di controlli, tagli, recuperi e pulizie secondo il disposto contrattuale) -e per di più dei soli 2020/2021: sembra banale ma, se i dati fossero stati validati, non vi sarebbe stata necessità di richiederli ancora alle Asl”. Il dottor Accarino spiega ancora che “I dati provenienti dalle Asl ed ancora purtroppo non depurati a seguito dei doverosi controlli, vanno necessariamente verificati in regione: in caso contrario si alimenterà ulteriormente il contenzioso e non si raggiungeranno risultati difendibili e coerenti con le finalità della scelta regionale. Questa affermazione discende consapevolmente dall’esperienza maturata sul campo: in questo scorcio di inizio anno ho partecipato a tutti i tavoli tecnici propedeutici all’invio dei dati richiesti dalla regione per la scadenza del 30 aprile, comprensivi anche del 2018 e 2019, e posso testimoniare , ma anche provare con dati alla mano, che i dati che ci sono stati espositi nel corso di dette riunioni, non sono ancora corrispondenti al disposto contrattuale/normativo. Ne deriva che semmai le Asl hanno inviato – o invieranno- dati alla Regione, questi saranno inutilizzabili per modificare legittimamente la DGRC 599/2021. Per dovere di chiarezza ben farebbe la Regione, con i poteri sostitutivi che per normativa le competono, a sistemare i numeri provenienti dalle Asl, in contraddittorio con queste e le Associazioni”. Il presidente del sindacato nazionale area radiologica si chiede anche su quali parametri si possa lavorare… “In mancanza di questo fondamentale passaggio si pone a base della nuova delibera uno storico drogato di alcuni in danno di altri e si cristallizza questa erronea base di partenza anche per gli anni a venire, casomai sulla scorta dei tanto spesso citati “comportamenti opportunistici” di taluni. Altro passaggio necessario e saggio sarebbe aprire una stagione di eliminazione del contenzioso pendente, ed alimentato dalla mala gestione di talune Asl, -nel rispetto di regole certe e chiare che, pur presenti nei contratti non sono mai osservate-, sulla scorta di quanto già fatto a suo tempo con le case di cura con la Dgrc 1573/2004: questo fondamentale passaggio servirebbe a normalizzare l’attività del comparto e a chiarire lo schema da seguire per il futuro”. Un altro aspetto di non secondaria importanza è rispondere poi alle censure sollevate dall’Agcom e superare le criticità rilevate. “E’ ovvio che le problematiche da affrontare e risolvere non sono le stesse per tutte le discipline della specialistica ambulatoriale: l’area radiologica, per esempio, ha una forte connotazione strumentale, estremamente complessa e con importante ribaltamento sulla sfera economica degli erogatori, sia per l’acquisizione delle tecnologie che per il loro mantenimento in efficienza. In proposito è certamente un errore l’attribuzione delle risorse ai singoli senza tenere conto degli sforzi sopportati per acquisire e mantenere in uso tecnologie adeguate un ad livello qualitativo delle prestazioni, che garantisca una diagnosi attendibile ed eviti anche la ripetizione di esami eseguiti con strumentazione non adeguata, se non addirittura la diagnosi tardiva di patologie gravi. Il Ssn deve necessariamente farsi carico di fornire la migliore prestazione a parità di costi, premiando chi investe in tecnologia ed evitando che rimangano attive realtà ambulatoriali che non garantiscono prestazioni qualitativamente adeguate ai cittadini della regione Campania. Vanno indicati alcuni parametri specifici: Configurazione tecnologica posseduta; Territorialità delle strutture Distribuzione/provenienza dell’utenza. Valenza distrettuale/aziendale E’ inoltre fondamentale stabilire se la Regione intenda rendere disponibili, per dare assistenza alla popolazione campana, risorse ulteriori rispetto a quelle trasferite dallo Stato e distribuite. D’altro canto la scelta di migliorare l’offerta pubblica non pare di immediata percorribilità, se solo si guarda alla situazione relativa alle apparecchiature di Rm presenti sul territorio regionale: su 222 impianti di Rm installati solo 29 sono in strutture pubbliche, e di queste solo una è territoriale, mentre le altre 28 sono allocate in presidi di ricovero, che per loro mission non hanno l‘ambulatorio esterno. – prosegue ancora il dottor Accarino – Inoltre la penuria di personale da cui sono cronicamente afflitte le strutture pubbliche è un ulteriore fattore che rende impossibile gestire la richiesta di prestazioni ambulatoriali proveniente dal territorio. Ebbene appare quasi banale constatare che il costo delle prestazioni da accreditato di Rm è stato negli ultimi 4 anni di ca 65/70 mln/anno su un totale finanziato di scarsi 130 mln/anno: con il rimanente si è dovuto finanziare le TC, ecografia e la radiologia tradizionale di 6 mln di abitanti. La cosa si commenta da sola. Si potrà poi utilmente provare, anche in questo settore, a normalizzare in base alla qualità, come già fatto da tempo in altre regioni, o come già tentato in Campania con il Dca 88/13. E’ chiaro che parte del problema non sta nei comportamenti opportunistici – che pur ci sono, ma non vengono sanzionati da chi ha il dovere istituzionale di farlo, ma anche e soprattutto nella penuria di risorse attribuite al settore. Trovo paradossale che in un Paese nel quale si cerca disperatamente di ridurre i tempi di attesa, la nostra regione miri ad allungarli, pur di non riconoscere la scarsità delle risorse disponibili e l’impossibilità del sistema a gestione diretta di smaltire la richiesta. Sarebbe infatti interessante conoscere in questi primi tre mesi di quanto sono aumentati gli accessi impropri in P.S. data l’impossibilità di accesso al settore accreditato dovuta all’introduzione del nuovo sistema di budgetizzazione degli accreditati che ha avuto come immediata conseguenza l’allungamento delle liste di attesa anche in questo settore. A tal proposito un discorso a parte merita, poi, la problematica attinente al Cup unico regionale, la cui entrata in funzione appare di là da venire sicuramente per gli accreditati. Infine va rettificata per dovere di chiarezza e verità la “bufala” delle “prestazioni salvavita” (tra l’altro fino ad oggi finanziate a più di lista e non con contratti integrativi scontati, come la norma impone) perché non è la prestazione che è salvavita, ma la condizione patologica del paziente che rende tutte le prestazioni di cui necessita quel paziente, salvavita. Se non si esce da questo equivoco si rischia di impedire l’accesso alla stessa prestazione cd “salvavita” o ad un follow-up adeguato. – conclude Accarino – Giusto per chiarezza: se si fa accedere alla radioterapia il pz perché ritenuta salvavita, ma non gli si permette di accedere parimenti alle prestazioni di cui necessita prima e dopo la radioterapia, di fatto si nega l’utilità della prestazione ritenuta- da sola- salvavita: questa stortura va in ogni caso necessariamente modificata. Ma in definitiva tutto quanto fin qui esposto resta uno sterile esercizio, se non vi è una vera volontà di risoluzione dell’intera problematica”.