di Andrea Pellegrino
Più che il Crescent o la Corte Costituzionale, a far tremare Vincenzo De Luca è, ancora una volta, la vicenda Termovalorizzatore, opera tra l’altro mai realizzata a Cupa Siglia. La prima udienza dell’Appello è fissata per il prossimo 11 dicembre ed entro la fine di quel mese potrebbe già essere emessa la sentenza. Ed il pubblico ministero Roberto Penna ha chiesto per De Luca (condannato in primo grado ad un anno per abuso d’ufficio) la condanna per peculato; richiesta contenuta nel ricorso – controfirmato dal procuratore capo, Corrado Lembo – presentato agli inizi dello scorso mese di giugno. Se così fosse legge Severino e Corte Costituzionale passerebbero sullo sfondo e per il governatore partirebbe la sospensione immediata. Nel processo tra gli imputati ci sono, oltre l’ex sindaco, Alberto Di Lorenzo e Domenico Barletta. Il pubblico ministero nel suo ricorso – anticipato lo scorso giovedì da Vincenzo Iurillo su “Il Fatto Quotidiano” – torna alla carica sull’illegittimità dell’incarico di project manager affidato da De Luca (all’epoca commissario straordinario per l’emergenza rifiuti in Campania) ad Alberto Di Lorenzo. La difesa del governatore, affidata agli avvocati Paolo Carbone ed Antonio Brancaccio, sostengono ancora una volta la tesi del “reato linguistico” sbandierata già all’atto della condanna dall’allora candidato del Partito democratico alla presidenza della Regione Campania. «L’unica “censura”, se così la si vuole chiamare – scrivono i legali – che può essere mossa all’operato dell’onorevole De Luca, in relazione all’attribuzione dei compiti da svolgere dal Di Lorenzo nell’ambito della struttura di supporto creata, è quella di aver utilizzato una terminologia non specificamente prevista nell’ambito del Codice dei Contratti, ma, comunque, già in uso presso altre Pubbliche Amministrazioni». E comunque, «De Luca, in quanto commissario di governo poteva agire in deroga». Ma per Di Lorenzo, spiegano Brancaccio e Carbone, non c’è «stato nessun illecito vantaggio». Cosa che, invece, sarebbe evidente per il pubblico ministero Penna che parla di una «graziosa elargizione di danaro del tutto scollegata da ragioni d’ufficio o dal rapporto d’impiego del beneficiario» che giustifica il reato di peculato. La somma finita sotto accusa è di 20mila euro come acconto delle prestazioni rese dall’ex capostaff di Vincenzo De Luca. Per la Procura, infatti, Di Lorenzo non ha espletato alcunché e non ha posto in essere nessuna specifica attività se non quella di «contattare qualche componente del gruppo (di lavoro, ndr) chiedendo a che punto fossero con il lavoro». In primo grado, il Tribunale aveva derubricato l’accusa di peculato in abuso d’ufficio sul presupposto che Di Lorenzo aveva comunque prestato un servizio. Un punto che è al centro dell’Appello del pm che dimostra come quello del project manager sia stato solo un ruolo di facciata, fittizio e vuoto. Ed il suo compenso (nel caso specifico solo l’acconto) costituirebbe un danno all’erario già contestato, tra l’altro, dalla Corte dei Conti che qualche mese fa ha spedito al governatore, Di Lorenzo e Barletta un invito a dedurre. Inoltre del Termovalorizzatore di Salerno non c’è più traccia. Ad eccezione degli espropri autorizzati ed indennizzati dal Comune e poi recentemente dalla Provincia di Salerno (quando la competenza è passata alle amministrazioni provinciali). E su quest’ultimo aspetto pare che ci sia una denuncia avanzata dalla precedente giunta provinciale guidata da Antonio Iannone.