Ricorsi respinti, diventano definitive le pene a sette anni e mezzo a testa di reclusione per il tentato omicidio nei confronti dei buttafuori di una discoteca: volevano vendicarsi per avere avuto la peggio in una rissa e di essere stati messi alla porta. Colpi di pistola esplosi per uccidere secondo i giudici che in primo grado avevano condannato a nove anni di reclusione Pasquale Langella, Vincenzo Auricchio e Alessandro Mohamed Taha, di Scafati e Boscoreale. L’episodio avvenne nel febbraio del 2007 davanti alla discoteca “Gola” sulla litoranea di Pontecagnano. Tutto nacque da una rissa che Langella e Auricchio avevano avuto con due membri della security del locale, dalla quale Langella era uscito con il volto tumefatto. Un affronto che decisero di lavare col sangue, tornando poco dopo davanti al locale armati di pistola e iniziando a sparare all’impazzata. I primi colpi sfiorarono Walter Castagna , in quel periodo buttafuori della discoteca, che salì in auto per fuggire. I tre però lo inseguirono e secondo la ricostruzione degli inquirenti esplosero verso di lui sette o otto colpi, uno dei quali si fermò nel sedile dove era seduto. Solo quando lo persero di vista i tre tornarono davanti al locale per continuare l’opera, sparando altri colpi ad altezza d’uomo e conficcandone uno nella vettura di un buttafuori. D’altronde le minacce al personale del locale erano state esplicite: «Voi non sapete con chi avete a che fare… vi sparo, vi uccido» avrebbe detto Langella, rivendicando l’appartenenza al clan Paglietta. I colpi sparati furono in tutto diciotto, una sfuriata che secondo gli inquirenti avrebbe potuto provocare una strage. “La ricostruzione, ragionevolmente accreditata dalla sentenza impugnata, è in ogni caso quella di una concentrazione di fuoco, che si diresse al bersaglio umano prescelto prima e dopo l’ingresso della vittima sull’automobile, e non già in aria a mero scopo di intimidazione. Le ragioni, per cui nessuno dei colpi sparati andò a segno, possono essere le più varie, ma è un salto logico inferire dalla mera constatazione del fallimento del piano delittuoso”, scrive la Cassazione.
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