Oggi, sul far della sera, Capitello d’Ispani rinnoverà il rito del venerdì santo, nella doppia processione guidata da Don Giuseppe Iodice, nel paesino illuminato solo dalle candele
Di OLGA CHIEFFI
L’ Ufficio delle tenebrae è, tra i molti riti della Chiesa cattolica, senza dubbio uno dei più suggestivi. Nei tre giorni in cui si celebrano la passione e la morte di Cristo (il sacrum triduum: giovedì, Feria V in Coena Domini, venerdì, Feria VI in Parasceve, e Sabbato Sancto antecedenti la Pasqua) canti e simbologie ataviche si intersecano in un continuum liturgico che investe oltre la sfera religiosa anche quella emotiva. I temi più profondi della natura umana – la cognizione del dolore, la spiegazione della morte – vengono elaborati e indagati in un percorso che centralizzando gli avvenimenti tramandati dai Vangeli, rilegge in chiave salvifica tutta la storia del popolo ebraico. La morte di Cristo come confine, come punto di non ritorno, come soglia, come passaggio da una condizione di schiavitù a una di liberazione, dal peccato alla vita. Simboli universali di questo movimento: le tenebre e la luce. E proprio il termine tenebrae definiva nella liturgia medievale l’Ufficio che si celebrava durante il sacro triduo, in cui gli altari venivano spogliati dalle suppellettili, le candele progressivamente spente, fino a sprofondare nelle tenebre appunto, le campane legate e il silenzio – lo stesso silenzio dell’uomo di fronte all’incomprensione della morte – si impossessava dei luoghi sacri. Tematiche tanto cruciali e momenti tanto ricchi di pathos non potevano che rispecchiarsi in una liturgia in cui la tensione spirituale si nutre dei riti e li assume a voce dell’inesprimibile. Il Venerdì Santo a Capitello d’ Ispani, trascorre sui ritmi lenti e sforzati dei riti della via Crucis, della adorazione della Croce e della processione incrociata del Cristo Morto e dell’ Addolorata, sino all’ incontro, un bacio, che avviene al centro del paese, nell’ambito di un cerchio che vede la partecipazione dell’intera popolazione della piccola frazione marina, nella perenne affermazione di una sorta di “identificazione” nelle sofferenze del Gesù della Passione. Oggi, non appena caleranno le prime ombre della sera, e su ogni balcone o finestra vi saranno accesi lumini e fiaccole, in segno di devozione e partecipazione, dalla chiesa madre partirà la processione. Là la popolazione attende, ferma e taciturna, l’inizio della processione del Cristo morto e della Madonna Addolorata dovendo rappresentare, tutti insieme, uno sfondo di immagini, una sintesi corale della storia esemplare di Gesù. Per primo uscirà il catafalco del Cristo morto, steso nudo e piagato sul sudario con la croce in testa, seguita dal giovane parroco Don Giuseppe Iodice e dalle autorità civili, con un corteggio di sole donne, alla volta della cappellina di Sant’ Antonio. Al ritorno dalla cappella, che segna il limite orientale del paese, nelle vicinanze dell’ arco dei Conti Carafa della Spina, che immaginiamo abbiano instaurato questa particolare tradizione, ad un segnale prestabilito, la madonna Addolorata procederà, con il volto imperlato di lacrime, barcollando sul portantino regale, così manifestando singhiozzi di pianto, sussulti di dolore; un dolore grande quanto quello di un cuore trafitto da sette spade, quanto può essere grande quello di una madre per la morte del Figlio, portata a spalla, da un drappello di uomini, per il fatidico incontro. La forma responsoriale diventa qui emozionante dialogo simmetrico tra le donne che intonano “La passione del Signore” con un ritornello in minore che recita “La passione del Signore, il dolore di Maria, impresso sempre sia, nel nostro cuore” e “ A Gesù appassionato”, elevato dal coro maschile con il ritornello “Sono stati i miei peccati Gesù mio, perdon pietà”, frasi musicali, ripetute ostinatamente che vanno a formare un mistico e ipnotico amplificatore spirituale In questa mestissima atmosfera, si riesce a far proprio il pensiero dell’Addolorata che diede la sua carne al Figlio Gesù da immolare per la nostra Redenzione, sentendosi anch’ Ella unita a Lui nel sacrificio cruento per la nostra salvezza. Davvero Maria Santissima, guardando il corpo flagellato di Suo Figlio sulla Croce, non poteva non sentire, consumandosi, che quella era la sua carne, la carne immacolata che aveva dato a Lui all’atto della concezione nel suo grembo verginale, per opera dello Spirito Santo. Dopo lo straziante incontro, in cui le due icone vengono avvicinate sino a sfiorarsi, in un immaginario bacio, la processione, finalmente unita imbocca la ripida via d’Ispani per omaggiare un’altra cappellina e ripiegare, indi, verso l’amatissima statua di Sant’Antonio sul confine occidentale del paese, per rientrare definitivamente nella chiesa di San Ferdinando e dar principio alla veglia. A mezzanotte tra il Sabato santo e la Domenica di Pasqua lo scampanio festoso delle campane, dopo tre giorni di silenzio, annuncerà la Risurrezione di Gesù e il ritorno alla Luce.