Questa sera, alle ore 21, nella piazza di Roccagloriosa, nell’ambito del cartellone di “Segreti d’Autore” verrà rappresentata la suite napoletana del critico napoletano. Lo spettacolo verrà preceduto dall’incontro su “La biodiversità vegetale del Parco tra passato e futuro, risorsa primaria per lo sviluppo delle aree rurali”, a cura del botanico Nicola Di Novella
Di Olga Chieffi
Che cosa hanno in comune i violini più misteriosi e preziosi, gli Stradivari e la città di Napoli? La stratificazione del tempo, dei violinisti che hanno lasciato per sempre la loro anima nel legno, delle persone, della variazione. Stefano Valanzuolo descrive la sua Napoli in una suite in otto quadri, che vedremo rappresentata questa sera, alle ore 21, nella piazza centrale di Roccagloriosa, ospite del cartellone del “Festival Segreti d’Autore”, ideato da Ruggero Cappuccio e diretto da Nadia Baldi, uno spettacolo che avrà quale preludio un incontro su “La biodiversità vegetale del Parco tra passato e futuro, risorsa primaria per lo sviluppo delle aree rurali”, a cura del botanico Nicola Di Novella. Solis String Quartet e Capone&BungtBangt condivideranno il palcoscenico in questo spettacolo, basato su un soggetto di Stefano Valanzuolo con progetto scenico e regia di Raffaele Di Florio e la voce narrante di Cristina Donadio, che contamineranno tradizioni profondamente diverse: dal violino alla buatteria, dalla scopa elettrica al violoncello, dalla viola allo scatolophon. Mezzi, idee diverse, a servizio di un solo simbolo, quello musicale. L’altra chiave, quella più vicina al nostro personale sentire, è quella musicale, con la ricerca dei Capone & BungtBangt, di suoni al di qua di ogni senso singolare, attraverso il canto ritmico delle percussioni a far da padrone, in lotta contro un tempo irreversibile. E’ la ricerca, l’articolazione di un ritmo personale, il voler esprimere una pronuncia tutta personale che sollecita parallelismi con la ricerca linguistica del Novecento eurocolto, in cui tanto valore è attribuito al colore, al timbro. Un’idea di suono intesa come la voce personale degli artisti e riflettenti quella dialettica voce-strumento, strumento-voce, che sarà offerta dal recitare di Cristina Donadio. Gli strumentisti si metteranno a nudo, suoneranno, commenteranno. Ecco l’urgenza di abbandonare ogni intento di controllo del suono e tentare di scoprire i mezzi che consentano ai suoni di essere se stessi. E nel dire le cose, nel dire il silenzio presente nei suoni delle cose, la parola nel suo domandare deve riaccendere la meraviglia . Meraviglia che non è solo incanto o superamento estatico della ragione, ma è e continua ad essere riflessione: la riflessione del cogito che prova insieme l’angoscia del silenzio – ossia della morte – e la gioia della parola nel suono delle cose. Prendendo spunto da testi tratti da opere di Erri De Luca, Sandor Marai, Enzo Moscato, Pier Paolo Pasolini, Roberto Saviano e Raffaele Viviani, riconosceremo pagine musicali che spaziano da Bach a Mozart, da Prokof’ev a Viviani, andando alla scoperta di quella Napoli che in tutti i campi è come un mare che ha ricevuto acqua da tanti fiumi. E’ figlia delle arti come le è universalmente riconosciuto i sentimenti, la storia e i costumi di un popolo. Musica e parole per uno spettacolo “poroso” come la città – per dirla con la definizione che Benjamin coniò per Napoli -, ha assorbito tutto, riuscendo a rimanere in fondo se stessa. Malgrado sia stata contaminata, nel tempo, da elementi appartenenti ad altre culture Napoli è riuscita a conservare un suo codice di riconoscimento, un proprio DNA, quel “profumo”, che la rende inconfondibile, come una lingua perduta, della quale abbiamo forse dimenticato il senso e serbato soltanto l’armonia, una reminiscenza, la lingua di prima e forse anche la lingua di dopo. Musiche e parole che con i loro contenuti racconteranno semplicità ed erotismo, essoterismo e magia, rituali sacri e profani, feste popolari, il ventre e il male. Ed è proprio qui che trova origine questo spettacolo, dove le suggestioni, le intonazioni, le evocazioni, si trasformano in un canto ora dolente, ora euforico, capace di esprimere l’eterno incanto dei sensi di questa Partenope. Parole e musiche che abbracciano la nostra infinita tradizione artistica completata dalla memoria collettiva con il vigore ritmico e l’aggressività espressiva che sa trasformarsi in danza e nella eterna sfida del popolo partenopeo alla vita.