La scuola che vorrei crea quei puntini. Tanti punti, soli, indipendenti che in futuro avranno senso insieme perché la scuola che vorrei insegna a sognare.
Di Luisa Langella
Avete smesso di sognare. L’avete creduto folle. L’avete considerato da bambini e ne avete avuto paura. Avete avuto paura di cedere, di abbassare la guardia e di diventare più fragili. A dirla tutta, questo mondo ve ne ha dato adito. Vi ha fatto credere che fosse giusto stare costantemente sull’attenti perché all’improvviso la persona seduta accanto a voi, al teatro, potrebbe sparare un colpo o perché un camioncino, tutt’a un tratto, potrebbe “investire” le vostre vite. Tutto può cambiare, in un attimo. Non l’avete insegnato ai vostri figli e adesso neanche i bambini sognano più. “Sogna ragazzo, sogna. Non è vero che la ragione sta sempre col più forte.” Ci hanno fatto credere che l’isola di Bennato non esistesse, che fosse tutta una favola, solo fantasia. Ci hanno fatto credere che conoscere una persona significhi sapere quanti anni o quanti fratelli abbia, quanto guadagni il padre e non qual sia il suo gioco preferito o se collezioni farfalle. Hanno fatto in modo che la ragione governasse il mondo. Ci hanno convinto che sognare fosse inutile. Credere in qualcosa, a occhi chiusi, indipendentemente dal risultato finale e pratico è inutile. “E ti diranno parole rosse come il sangue, nere come la notte, sogna ragazzo sogna”. È difficile sognare il futuro. Immaginare qualcosa che in realtà non esiste e di cui nessuno può dare certezza. “Si tratta di unire i puntini…È impossibile unire i puntini adesso, per me è stato molto più chiaro dieci anni dopo quando ho potuto guardare all’indietro. Dovete avere fiducia, in qualche modo, nel futuro, i puntini si potranno unire. Dovete credere in qualcosa, qualsiasi cosa. Questo fa la differenza nella vita”: queste le parole di Steve Jobs ai neolaureati dell’Università di Stanford il 12 Giugno 2005. La scuola che vorrei crea quei puntini. Tanti punti, soli, indipendenti che in futuro avranno senso insieme perché la scuola che vorrei insegna a sognare. Chiudere gli occhi e sognare, basta crederlo. Mi hanno detto che poi la strada si trova da sé. Sognare: non lasciare che il rumore delle opinioni copra la nostra voce interiore. La scuola che vorrei insegna a perseguire un sogno, nonostante tutto. A fare il passo in avanti rispetto alla massa, quando un fucile puntato impone di abbandonare un sogno e ritornare alla realtà. Lo stesso passo in avanti degli operai, in quel di Chicago nel maggio del 1886, impegnati in una lotta per una giornata lavorativa di otto ore. Avevano un sogno e ci hanno creduto. Anche quando tutto sembra perso, “…quando cade il vento ma non è finita, quando muore un uomo per la stessa vita che sognavi tu, sogna ragazzo sogna credi solo a quel che vedi dentro…Non cambiare un verso della tua canzone…Sogna fino in fondo”. La scuola che vorrei non sistema una serie di notizie nel cervello fino all’interrogazione, lavora sui sogni dei bambini dando loro strumenti per crederci sempre e puntini per creare un futuro. La scuola che vorrei è troppo diversa dalla scuola che è.