di Olga Chieffi
E’ la serata di “Mai dire mai” di Willie Peyote, questa sera nella incantevole baia di Lentiscelle a Marina di Camerota, giornata di chiusura della XXVI edizione del Meeting del Mare, pronto a svolgere il tema assegnato dallo storico direttore del Festival Don Gianni Citro, a capo della Fondazione C. R. E. A ( cultura , religioni e arte) che gestisce quasi tutti i grandi eventi del Golfo di Policastro e del Cilento. Confini è il tema dettato dal patron, un fil rouge che lega le tre giornate e ci fa ricordare quello che furono gli inizi di un’altra storica Fondazione che festeggia i vent’anni che è quella di Ravello, con i suoi cartelloni dedicati al viaggio, al sogno, al contrasto, alla memoria. Che cos’è il confine? O forse sarebbe più giusto dire, che cos’è un confine? In questo periodo storico la nostra cultura in senso lato, quella del nostro Paese, dell’Europa, degli Stati Uniti e del mondo intero si è trovata difronte questo quesito che pone le proprie basi con la nascita stessa della nostra esistenza, quasi quotidianamente. Nonostante l’esperienza umana, la storia e tutte le definizioni più o meno plausibili che il dizionario riesce a dare a questa parola, ancora oggi l’uomo si interroga su questo concetto e soprattutto non riesce a trovare quel punto di contatto che possa trasformare questa parola in un qualcosa che abbia una accezione solo ed esclusivamente positiva e in qualche modo definire noi stessi senza ledere la libertà altrui. In senso “negativo”, il confine segna una linea di demarcazione, reale o immaginaria, oltre la quale non è possibile andare o spingersi senza avere il permesso di chi ha ricevuto o conquistato il territorio, reale o immaginario, che si estende dall’altra parte. In senso positivo invece esso può rappresentare il mezzo attraverso il quale conoscere se stessi e capire cosa rientra all’interno delle proprie abilità o sensibilità e cosa no. Il confine può spingerci oltre a cercare di raggiungere obiettivi oltre i quali fino a quel momento sembrava impossibile andare e può aiutarci ad imparare a rispettare l’altro sia da un punto di vista fisico (spesso e volentieri si dice che il nostro corpo rappresenta il confine del nostro IO o della nostra anima) che mentale. Come sviluppare il tema, ma naturalmente in musica, un’arte la quale pur viene divisa in generi, in epoche, alzati muri, ma che ci accorgiamo sono alla fine abbattuti, poiché come ripeteva Duke Ellington: “Ci sono due tipi di musica: la buona musica e tutto il resto”. Questa terza e ultima serata accoglie l’energico live di Willie Peyote: il cantautore e rapper torinese impreziosisce il festival con la ricercatezza dei testi, il funk delle tastiere e un personalissimo album intitolato “Pornostalgia”, nato durante la pandemia e ricco di suggestioni, pensieri e idee condivise. Con lui, sul palco di Marina di Camerota, ci saranno gli All Done. Ad introdurre la special guest, oltre diversi gruppi emergenti, Jeordie, Mico Argirò, Addolorata, Amalinse, Trequattronovetrentatre, Men in The Box, Cabrini, Nuvole e Lambrusc, i Segni Distintivi, ovvero il duo di poliziotti-cantautori, composto dal salernitano Angelo Forni voce e chitarra e dal romano Fabio Sgrò al basso, i quali svolgeranno questo tema con tre titoli. S’inizierà con l’attualissimo “Stregoni e Dragoni” che fa pensare al sirventese, quel componimento in versi, musicato, nato in Provenza nel Duecento e che in Italia poi, prese carattere narrativo, ma non perse quello spirito ironico e satirico nei confronti dei maggiorenti e governanti del momento. Un sogno in musica quello del duo, trovatosi a vivere questa pandemia, in cui è stata calpestata la libertà un po’ di tutti, quasi elevando, in certi momenti, un solenne de profundis per la democrazia del nostro paese, indorando l’amara medicina con sorrisi, mascherine da supereroi, l’appello alla necessità, ristori che rinculeranno, come il moto retrogrado di ogni arma da fuoco. Sono questi i nodi della storia che solo gli artisti possono rivelare e sciogliere, con il tocco della leggerezza, che tante volte manca, in particolare in questo momento e di cui si ha disperato bisogno. Seguirà “Ci vorrebbe un reggae” una melodia che supera i “confini” del mare, poiché nata in Giamaica con il suo ritmo che conquista tutti, a servizio di un testo ironico che ripercorre il debilitante periodo di indecisione e confusione attorno alla pandemia e alle sue conseguenze. Non il classico tormentone estivo, ma un brano, che “in quest’estate che arranca”, riflette sui due anni bui del mondo. Di leggerezza se ne ha bisogno “Davvero”, ed ecco l’ urlo di libertà di una ballata, ove si sogna un’evasione senza limiti, per risolvere ogni reale problema, in una totale comunanza, senza appunto “confini” , poiché se l’infinito avesse limiti, diverrebbe vanitas.