Sono passati ottanta anni dai fatti militari che durante la seconda guerra mondiale travolsero la città di Salerno, tanti anni in cui l’oblio ha coperto abbondantemente luoghi fatti e persone. Un luogo però è costantemente citato nei resoconti bellici cittadini ed è quello della caserma Umberto I. A dispetto delle puntuali citazioni, spesso bisogna chiedersi quando sia approfondita la conoscenza della poderosa costruzione militare in chi ne scrive e quanti giovani concittadini oggi riuscirebbero a collocarla nel reticolo della città moderna? Un esercizio semplice visto che basta indicare che è l’unico agglomerato di edifici delimitato sui quattro lati dal grande porticato inscritto dentro il suo perimetro originale. La mastodontica caserma, bombardata nell’estate del 43, infatti, occupava l’area posta tra Corso Vittorio Emanuele e Corso Garibaldi in cui oggi svettano le costruzioni più alte del centro cittadino. L’area fu edificata negli anni sessanta per realizzare uffici e appartamenti destinati alla classe sociale medio-alta. La grande caserma cittadina era stata costruita a fine secolo XIX, e dedicata al Re Umberto I dopo i fatti di Monza del 1901, fu la caserma cittadina che ospitò i militari 63º 64º Reggimento Fanteria della Brigata Cagliari che combatterono la guerra itala turca e poi la grande guerra. Negli anni che seguirono la caserma Umberto I, divenne scuola per gli allievi ufficiali di complemento. Eravamo nel ventennio fascista durante il quale il reclutamento degli ufficiali di complemento avveniva spesso attraverso i gruppi universitari fascisti, GUF. Per la leva degli studenti universitari erano previsti sei mesi di servizio da soldato, effettuato presso il reggimento d’inquadramento, un periodo utile al conseguimento del grado intermedio di sergente, mentre i successivi sei mesi erano inviati a Salerno per fare un percorso formativo nella Caserma Umberto I. A fine corso essi sostenevano degli esami per accedere al grado di “sottotenente di prima nomina”. La caserma cittadina era utilizzata da giovani provenienti dalle più disparate località della penisola in possesso già di una buona cultura di base spesso già a livello universitario. Il loro percorso formativo nella Scuola ufficiali era vissuto alla stregua dell’ingresso in una piccola accademia militare, perché per molti aspetti di ordine e disciplina ne imponeva le caratteristiche. Ordine, decoro, pulizia ne connotava esteriormente gli ambienti in particolare i dormitori accoglievano massimo 10/11 allievi. La camerata si componeva di lettini singoli con le molle, materassi, lenzuola e coperte. Ogni allievo a fianco del letto aveva un armadietto personale, questo era ispezionato con frequenza per controllarne ordine e pulizia. La cura personale e il decoro della divisa erano aspetti che nei precedenti mesi di leva militare erano stati assenti o minimamente considerati mentre a scuola erano pretesi. Al loro arrivo alla scuola le vecchie divise erano sostituite con il nuovo vestiario. Il filetto d’oro lungo il bavero della giubba e del pastrano era il fregio distintivo da Allievo Ufficiale previsto. Un altro particolare fu spesso posto in evidenza dagli allievi che frequentarono i corsi nella Caserma Umberto I, in mensa gli allievi erano serviti a tavola da camerieri militari in giacca bianca e guanti. I pasti pur risentendo del periodo autarchico erano giudicati buoni dagli allievi, questi che nei sei mesi precedenti avevano fatto la sola esperienza della gavetta militare usata per colazione, pranzo e cena, non poterono non apprezzare l’abissale differenza. Solo il caffè servito a colazione, un surrogato era comunemente giudicato imbevibile, cosa che li accomunava con la maggioranza dei cittadini italiani in divisa o meno che fosse. Unica nota di disagio spesso riferita dagli allievi ai familiari del loro percorso di studio era la ristrettezza dei tempi personali legati al consumo dei pasti 15 – 20 minuti, non oltre, e le limitazioni di orario nell’utilizzo delle camerate, cosa che non permetteva agli allievi piccole pause, neppure il tempo per scrivere quattro righi ai familiari. In breve i sei mesi di corso erano scanditi da ritmi intensi d’impegni di studio e attività addestrativi esterni. In caserma si viveva in un ambiente militare formale, esigente e controllato.
Nonostante questo diversi degli allievi che frequentarono i corsi nel periodo di guerra, notarono che la caserma fosse sprovvista di rifugi antiaerei per cui in occasioni degli allarmi, già frequenti nel corso del 1941, gli allievi erano costretti a restare in sala mensa al piano terra non essendovi altro luogo di ricovero. Tale disagio con l’intensificarsi degli allarmi li costrinse a trascorrere intere notti sonnecchiando seduti, con le testa sui tavoli. Il portone della caserma si apriva sul Corso Garibaldi con il varco carraio, superato l’ampio portale, si accedeva a un grande cortile quadrilatero sul quale era posta l’armeria, il salone della mensa, già descritto più alcuni saloni di ricreazione/riunioni. Sul lato lungo era montato un monumento che faceva memoria di un caduto di fanteria sull’Isonzo, mentre lungo le mura si alternavano motti dell’epoca e militari. Dal grande cortile si accedeva alle scale che conducevano alle aule, ampie e luminose e alle curate e pulite camerate. Se non impegnati in servizi di caserma o puniti dalla rigidità dei controlli imposti dal colonnello Attilio Quercia, prima e poi dal Colonnello Salto, gli allievi avevano libera uscita serale. Per quanti restavano in caserma, sul cortile era aperto un piccolo spaccio, dove gli allievi potevano comprare qualcosa, anche se il caffe restava anche lì una chimera. Lo spaccio non aveva molto da vendere anche perché la paga da allievo era allineata a quella del soldato e per permettersi qualche spesa erano le famiglie costrette a inviare lire da casa. La stessa divisa da ufficiale da indossare a fine corso doveva essere acquistata dall’allievo a un costo di 1500 lire, poca cosa oggi ma rapportata alle 6,5 lire della diaria, acquista ben altro valore. La grande caserma permetteva corsi fino a 800 allievi per volta e nelle belle serate salernitane era usuale incontrarne tanti in divisa che percorrevano il Corso Vittorio o il Corso Garibaldi, i Mercanti e via Botteghelle fino al negozio di Guasco.
Facile trovarli davanti al piccolo negozio ordinatamente in fila la sera, visto che la libera uscita iniziava alle 18.00 e il negozio di articoli militari chiudeva alle 19.00. La domenica era più facile incrociarli sul lungomare Trieste attesi dai fotografi locali per qualche scatto ricordo. In occasione delle ricorrenze di partito il GUF cittadino con le altre organizzazioni del partito fascista, preparavano spettacoli riservati agli allievi, questi si tenevano nel teatro Impero o nel Teatro Vittoria. Non di rado tali spettacoli erano arricchiti anche da buffet con paste e vermut a vent’anni sempre graditi. Dato il cospicuo numero di militari presenti in città, era la stessa caserma a predisporre un servizio di ronda militare. Questa aveva libertà di accesso in ogni ambiente pubblico, perfino nei bordelli cittadini. La ronda aveva potere assoluto sui militari! Una vigilanza temuta soprattutto dagli allievi, cui si controllavano permessi e comportamenti civici e militari. Con la ronda in giro gli affari per i lustrascarpe lievitavano di conseguenza. In caserma la mattinata della domenica era dedicata alla cura personale, le docce erano aperte, in ambienti moderni e lucidi solo la domenica. Alle dieci in punto gli allievi uscivano inquadrati per andare a messa al Sacro Cuore, finita la celebrazione, iniziava la libera uscita.
Giuseppe MdL Nappo
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