Antonio Manzo
Se proprio avessero voluto colpire un protagonista della cosiddetta Vaticano connection, monsignor Nunzio Scarano, avrebbero dovuto “condannarlo” per insussistenza del fatto. Non sembri un gioco di parole ma sarebbe stato solo il plateale esito finale dell’inchiesta della procura di Salerno dei tribunali di casa nostra che consigliano i giudici della Cassazione. A Salerno avrebbero evitato l’insuccesso giudiziario se avessero ascoltato i giudici della Cassazione he nelle motivazioni dell’annullamento della condanna per riciclaggio hanno scritto che quel processo non andava proprio fatto. Hanno annullato la sentenza di condanna per riciclaggio ed ordinato di rifare il processo alla Corte di Appello di Napoli. La storia del processo Scarano demolisce la procura di Salerno, il tribunale e la corte di appello nei processi “costruiti limitandosi a confermare l’assunto – scrivono i giudici della Cassazione -, quanto mai generico e non identificativo di una specifica illeceità della traccia: occorreva viceversa verificare quali fossero le somme del riciclaggio, in quali conti corrente fossero state versate e in quale misura utilizzate. Il difetto di accertamento imponeva l’assoluzione per insussistenza del fatto>. Cioè, come scrivono i giudici della Cassazione, il processo per riciclaggio non esisteva. Tanto da ordinare di dover rifare il processo in appello alla Corte di Napoli maturato dopo un ultradecennale accanita inquisizione in danno del monsignore unita ad una penetrante capacità investigativa non utilizzate nella storia giudiziaria italiana neppure per la ricerca di Matteo Messina Denaro. Nell’inchiesta Scarano la procura di Salerno utilizzò intercettazioni telefoniche fatte con costosi apparecchi, fonici e visivi, sistemati di fronte alla abitazione dell’indagato sfruttando gli spasi interni al campanile della Cattedrale di Salerno, una palese violazione di luogo extraterritoriale dello Stato vaticano che non servì neppure a fare arrestare un ladro di appartamento penetrato nell’appartamento del monsignore. Ma le intercettazioni servirono, impropriamente, solo a pubblicizzare frasi del tutto estranee all’inchiesta e date in pasto al circo medistico-giudiziario allestito per il monsignore della presunta Vatican Connection casereccia. È stato gioco facile, per così dire, nel lavoro in Cassazione degli avvocati difensori Riziero Angeletti, per Nunzio Scarano, e Agostino De Caro in difesa della commercialista Tiziana Cascone. Con la provvidenziale consulenza del docente di diritto penale dell’università di Napoli Carlo Longobardo che tentò, inutilmente, di convincere i giudici salernitani sulla inesistenza del reato di riciclaggio.





