Di Adriano Falanga
“Sono delusa, non so più come fare. Se non accetti di cedere alla loro richieste ti ritrovi senza un lavoro”. Parole forti, di quelle che lasciano l’amaro in bocca. Anna è una mamma quarantenne, con due figli di 20 e 6 anni. Separata, ha deciso di raccontare la sua storia perché “non è possibile che ovunque io vada per un lavoro, finisce sempre allo stesso modo”. Non sono positive le esperienze della donna: “passo il giorno a inviare curriculum e rispondere ad annunci, anche i lavori più umili. Ho un figlio da crescere e non mi spaventa nulla. Ma anche come assistente ad anziani, ho trovato sempre e solo chi baratta il posto con un favore sessuale. Comincio a perdere ogni speranza”. Non la si può ritenere fortunata, questo è certo, ma esistono ancora persone perbene. “Mi chiedo dove sono. Perché chi come me non ha raccomandazioni o conoscenze, o non accetta di essere disponibile, ha sempre più difficoltà a trovare un posto”. Non chiede la luna Anna, ha lavorato diversi mesi in una nota pasticceria scafatese. “Ero sempre al mio posto, mettendo impegno e dedizione in ciò che facevo – racconta la donna – ma fin da subito il titolare si è mostrato particolarmente “premuroso” nei miei confronti”. Presto scopre che le attenzioni sono riservate più o meno a tutto il personale femminile, ma lei chiarisce subito la sua posizione. “Ho sempre respinto ogni attenzione, chiarendo subito che non ero disposta a cedere. Ma questo ha indispettito il titolare, perché da allora sono stata oggetto di mobbing, anche da parte dei miei colleghi”. La volpe, non arrivando all’uva, dice che è acerba. E così nel locale si è insinuato, forse volutamente da parte di qualcuno, il pettegolezzo e l’insinuazione. Su di me è stato detto di tutto, l’ambiente era sempre più pesante e stressante – continua la donna – ma ho tirato avanti perché ho un figlio a casa, oltre a bollette e affitto da pagare”. Ma la storia di Anna somiglia a tante altre del resto, donne costrette a subire perché costrette dal bisogno economico. Sedici euro al giorno, al nero, questo era quello che guadagnava. “Sempre meglio di niente” ammette la donna, che alla fine è costretta a lasciare quel posto, perché oramai diventato impossibile continuare. Ha voluto salvaguardare la sua dignità, troverà di meglio, si è detta. “E invece anche altre occasioni si sono rivelate simili. Possibile che una donna onesta e volenterosa non deve trovare lavoro se non disposta ad accettare bassi compromessi?” l’appello disperato di Anna. Ad aiutarla il contributo dell’ex marito al figlio, e l’altra figlia di appena venti anni. “Ma le spese sono troppe e le bollette si accumulano. Sono disposta a qualsiasi lavoro, anche i più umili, purché onesti e senza condizioni particolari”. Eppure certe situazioni andrebbero denunciate, non solo attraverso i giornali. “Non importa, chi vuole che mi crederebbe? A me basta rendere nota solo la mia storia, perché sono certa che non sono l’unica e purtroppo neanche l’ultima. Che serva da esempio per chi si ritrovi nelle mie stesse condizioni”. Anna ha provato anche rivolgersi al Comune, ma i tempi non sono dei migliori neanche per l’ente pubblico, in crisi economica e con i servizi sociali ridotti al minimo. Però non si arrende, e nonostante la palese amarezza, continua ad andare avanti: “per mio figlio, e perché chi è onesto non deve mai nascondersi”.
LA PSICOLOGA: “PER LE VITTIME DIFFICILE DENUNCIARE. IMPORTANTE E’ PARLARNE”
“Di molestie sessuali sul lavoro in Italia si parla ancora troppo poco, sebbene i dati a riguardo siano piuttosto importanti: l’Istat ha stimato che quasi la metà delle donne tra i 15 e i 65 anni hanno subito, nell’arco della loro vita, ricatti o molestie sessuali sul luogo di lavoro. Spesso le molestie e le richieste di disponibilità sessuale arrivano al momento dell’assunzione o in occasione di un avanzamento di carriera”. Così Maria Luisa Radice, psicologa e psicoterapeuta, volontaria presso lo sportello “Ascolto Famiglia” attivo ogni martedì dalle 15:30 alle 18:30 nei locali della biblioteca comunale Morlicchio. Curato dall’associazione “Futuro Famiglia” lo sportello si avvale anche della presenza di una mediatrice familiare e di un avvocato. “La storia di Anna, purtroppo, assomiglia alla storia di tante donne costrette ogni giorno a subire in silenzio complimenti spinti, commenti sessisti, avances più o meno velate sul posto di lavoro. Spesso il confine tra semplici complimenti e molestie sessuali è piuttosto sfumato ed indefinito e ciò rende difficile l’identificazione del fenomeno sia da parte della vittima che da parte di noi professionisti – spiega la dottoressa – Il molestatore è, solitamente, il datore di lavoro o, comunque, un collega collocato su un gradino più alto nella scala gerarchica rispetto alla vittima. L’obiettivo del molestatore è quello di esercitare il proprio potere sulla donna, considerata un oggetto sessuale a propria disposizione. Quando la donna tenta di respingere queste “attenzioni particolari”, spesso subisce mortificazioni e minacce di licenziamento o addirittura è accusata di aver essa stessa provocato il molestatore. Così per le vittime diventa ancora più difficile denunciare, perché, insieme al timore di perdere il posto di lavoro c’è anche il senso di colpa per avere in qualche modo incoraggiato questi comportamenti”. Un classico purtroppo, che delinea perfettamente i contorni della storia di Anna, e di centinaia di donne nelle stesse condizioni. Situazioni stressanti, che finiscono con lo spegnere ogni entusiasmo e positività in chi le subisce. “Anna ha avuto la forza di sottrarsi alle richieste sessuali pressanti del suo datore di lavoro pagando però in prima persona la sua unica “colpa”: essere donna”. Infine, l’appello della dottoressa Radice: “In questi casi è importante non chiudersi nel silenzio, ma parlarne, magari con il supporto di un professionista, e denunciare alle autorità competenti gli abusi subiti, affinché il colpevole non resti impunito”.