Di Adriano Falanga
Intanto il primo cittadino riunisce i suoi. Li ringrazia per la solidarietà e la fiducia, li aggiorna sulla situazione e rilancia con il discorso decadenza. Qui i volti si rabbuiano, se una settimana fa c’erano diversi malumori, oggi questi sono moltiplicati. Anche tra i suoi fedelissimi e la giunta, c’è chi suggerisce ad Aliberti di andare avanti nella legislatura fino a naturale scadenza. E se i numeri non ci sono, c’è anche chi pronuncia la parola “dimissioni”. Un gesto estremo, che potrebbe essere evitato se il primo cittadino rinunciasse alle alleanze con una parte del centrosinistra dissidente, come Michele Raviotta, il deputato Guglielmo Vaccaro, Enrico Donnarumma, Giuseppe Di Francesco, Antonio Monaco, Raffaele De Luca, Giuseppe Sicignano. Molti consiglieri sono infatti propensi a recuperare i rapporti con Pasquale Coppola, Pasquale Vitiello e Stefano Cirillo, una condizione necessaria per evitare la spaccatura del centrodestra, che in caso di elezioni, potrebbe significare sconfitta al ballottaggio. Inoltre le dimissioni, secondo alcuni esponenti di maggioranza, potrebbero scongiurare il rischio, che pure esiste, di scioglimento del consiglio comunale e il conseguente commissariamento.
Una campagna elettorale in questo momento di indagini, aggravata “dall’artifizio” dell’incompatibilità, potrebbe essere un suicidio politico. La senatrice Rosaria Capacchione e una fetta dell’opposizione hanno già invocato al Prefetto l’arrivo della commissione d’accesso. Scafati piomba così nel triste ricordo dell’onta dello scioglimento, avvenuta già nel 1993 quando l’allora amministrazione a guida democristiana fu accusata di legami con il clan Loreto-Matrone. La corte Costituzionale con sentenza 103/1993 ha ricordato inoltre che per arrivare allo scioglimento di un ente locale per infiltrazioni mafiose gli elementi probatori non devono essere granitici (come invece è richiesto per provare la responsabilità penale di un soggetto o sottoporlo a misure di prevenzione) perché questo istituto è una misura di prevenzione sociale e si deve intervenire anche quando c’è il pericolo che una o più cosche “inquinino” l’ente pubblico.