Scafati. Accordo tra i clan, mano pesante della Dda - Le Cronache scafati

Scafati/Boscoreale/Pompei. Mano pesante della Dda di Napoli nei confronti di 19 imputati a processo con il rito abbreviato davanti al giudice per le udienze preliminari del tribunale di Torre Annunziata. Un’inchiesta culminata con gli arresti di ottobre 2023 che portò in manette tra Scafati, Boscoreale, Pompei e Boscotrecase 21 responsabili tra capi clan, affiliati e fiancheggiatori. Circa due secoli e mezzo la richiesta del pubblico ministero dell’Antimafia di Napoli Valentina Sincero che ha chiesto quasi due secoli e mezzo di reclusione per gli imputati accusati di associazione per. delinquere finalizzata allo spaccio, estorsioni, usura dopo un accordo con i Gallo/Limelli/Vangone. Venti anni di reclusione per i presunti capi promotore Giuseppe e Francesco Pesacane, 15 anni per Umberto Pesacane e 18 per Gabriele (detto Sandro) catturato nel dicembre dello scorso anno in una villetta di Scafati a due mesi dal blitz. Quindici anni per l’altro fratello Pasquale Pesacane. Sono considerati uomini ai vertici del clan di famiglia insieme a Santolo Martire (15 anni di richiesta) e Giuseppe Ranieri (12 anni e mezzo) e ancora alle giovani leve Nicola Galise (14 anni), Alessandro Carotenuto (14 anni) e Raffaele Solimeno (12 anni e mezzo), e ancora Francesco Curcio (15 anni), Francesco Caso (12 anni) e Pasquale Ferricelli (12 anni e mezzo). Quindi 14 anni e 8 mesi per Azzeddine Janani, 2 anni e mezzo per Francesco Severino, 8 anni per Gennaro Russo, 9 anni per Rosaria Vangone e Pasquale Ingenito. Chiesta assoluzione per Carmela Gallo. Decide il gup ad aprile dopo le arringhe del collegio difensivo che partiranno a gennaio. Due a giudizio ordinario. La vicenda è quella del blitz di ottobre 2023, con arresto di Gabriele Sandro Pesacane avvenuto due mesi dopo, contro il rinato clan Pesacane, che si sarebbe mosso tra Boscoreale e Boscotrecase, dove-secondo l’accusa- aveva sancito un patto di non belligeranza con i Gallo-Limelli-Vangone dopo i primi screzi e il rischio di una faida di camorra, rifornendosi di droga da Rosaria Vangone, sorella del defunto capoclan. Il pizzo era imposto a diversi imprenditori e commercianti fino a Terzigno e Trecase. Tra le vittime c’erano negozianti del Vesuviano e anche agenzie funebri della zona, così come era stato imposto il versamento del 5% dei ricavi a una azienda che forniva le slot ai centri scommesse d Boscoreale e Boscotrecase. Da piccoli prestiti anche di poche centinaia di euro, le vittime erano costrette a restituire di interessi migliaia di euro, senza mai estinguere il debito contratto con «Sandro» Pesacane. Il titolare di una tipografia, un fruttivendolo, il proprietario di un supermercato, alcuni operai, un meccanico, un macellaio, un ristoratore, un rivenditore di auto, addirittura un contadino, un panettiere, un imprenditore edile: erano decine le vittime di usura, sotto scacco dei Pesacane. Dopo l’arresto del capoclan Peppe «’o Pesacane», il fratello «Franchino» avrebbe gestito lui anche il versamento degli stipendi ad affiliati e detenuti, mentre Gabriele detto «Sandro» è ritenuto il finanziatore e il custode delle armi del clan. Il giovane Galise avrebbe avuto il ruolo di autista del boss Giuseppe, mentre Carotenuto avrebbe partecipato all’attività di usura, reinvestendo gli incassi in una concessionaria. Caso controllava la piazze di spaccio di piazza Vargas a Boscoreale.

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