Di Adriano Falanga
Molto probabilmente sarà il Tar a verificare la legittimità della delibera consiliare di approvazione degli equilibri di bilancio, votata mercoledi 27 da appena 10 consiglieri comunali, sindaco compreso. Lo Statuto comunale, sulla base delle indicazioni fornite dal Testo Unico degli Enti Locali, prevede il raggiungimento della maggioranza assoluta dei consiglieri “assegnati”, riguardo l’approvazione del Bilancio Consuntivo, del Previsionale e del Dup. Ma non chiarisce quale sia la maggioranza necessaria per votare la loro modifica. Spazio quindi alle interpretazioni. La maggioranza, su parere della segretaria comunale Immacolata di Saia, ratificato dal presidente del consiglio comunale Pasquale Coppola, ha stabilito che per il riequilibrio di bilancio non è richiesta la maggioranza assoluta dei consiglieri assegnati, mentre secondo la minoranza erano necessari gli stessi numeri del Previsionale “per un semplice ed elementare principio di Analogia Legis”. E del resto, appare anche più plausibile. Ad ogni modo, la discussione ha scoperto un’altra anomalia, ed è relativa alla seduta consiliare del 16 giugno scorso, quando, dopo due precedenti sedute disertate dalla maggioranza per mancanza certa di voti, l’inciucio permise all’amministrazione l’approvazione del rendiconto di gestione 2015 e del Previsionale 2016. In questo caso, non esiste vuoto legislativo e la normativa, nonché lo Statuto dell’ente, sono chiari. L’articolo 100 infatti stabilisce che il Consiglio approva il bilancio in seduta pubblica con il voto favorevole della maggioranza assoluta dei consiglieri “assegnati“. Con la stessa maggioranza prevista dal comma precedente, il Consiglio Comunale approva il conto consuntivo ed il programma delle opere pubbliche e degli investimenti. Il 16 giugno, scoperchiato l’inciucio che ha portato il Cotucit in maggioranza, i documenti di gestione contabile-amministrativa furono votati da 13 consiglieri, compreso il sindaco. E 13 è il quorum necessario indicato dalla legge, relativa alla maggioranza assoluta. In realtà, secondo una corretta interpretazione dello Statuto comunale, i 13 voti non sono affatto relativi a 13 consiglieri assegnati, bensi a 13 componenti del consiglio comunale, il che non è esattamente la stessa cosa. Tutto ruota infatti attorno alla figura del Sindaco, che con il suo voto ha determinato l’approvazione degli atti. Ma il sindaco però, secondo il Tuel, è certamente parte del consiglio comunale, ma non rientra nei consiglieri comunali “assegnati”. A conforto della tematica la Corte Costituzionale, in base alla riforma recata dalla legge n.81 del 1993, ha chiarito che il sindaco, eletto direttamente, non è più scelto sulla base della sua precedente investitura nella carica di consigliere comunale, come avveniva in forza dell’abrogato art. 5, primo comma, del T.U. n.570 del 1960, ma è pur sempre membro del consiglio comunale, e, come è stato ribadito dall’art. 1 della legge n.81 del 1993, “il consiglio comunale è composto dal Sindaco” e da un numero di membri variabile secondo la popolazione del Comune. In questa veste il sindaco ha diritto di voto per le delibere consiliari, e viene computato – ad ogni fine – tra i componenti del consiglio stesso.
Alla luce delle considerazioni poste, se il sindaco può dirsi a pieno titolo componente del Consiglio, egli non può dirsi per ciò stesso “consigliere”, ragion per cui quando la legge prevede che la maggioranza richiesta si computi sui “componenti il consiglio” o “propri membri”, per il computo della maggioranza richiesta si terrà conto anche del sindaco. Allorquando, invece, la legge (art. 6, comma 4, approvazione e modificazioni Statuto) parla di “consiglieri assegnati”, è chiaro che la base di computo non deve tener conto del sindaco. Con il termine consiglieri “assegnati” si devono considerare i consiglieri indicati numericamente del T.U.E.L., cui si aggiunge il sindaco, con la conseguenza che il quorum è da valutare in funzione del numero dei consiglieri individuato direttamente dalla legge. Ne consegue che in un consiglio comunale (nel caso di Scafati) composto di 24 consiglieri (e il sindaco per complessivi 25 componenti) la “maggioranza assoluta dei consiglieri assegnati” equivale alla metà più uno, 13 consiglieri escluso il sindaco. Ergo, il voto del primo cittadino il 16 giugno scorso poteva essere il 14° ma non certo il 13°, addirittura determinante l’approvazione del Bilancio. Una brutta tegola, che rischia di far saltare ogni accordo tra le parti, vanificando anche il “lavoro” di quel gruppo di consiglieri che prendendo le distanze dalla loro maggioranza, si sono ritagliati una nicchia consiliare rappresentante la terza forza politica, in contrapposizione a maggioranza e opposizione. E’ il gruppo degli “indipendenti”, una posizione forse politicamente legittima, ma burocraticamente anonima e soprattutto non prevista. Tant’è che il regolamento delle adunanze consiliari e delle commissioni prevede espressamente la composizione delle commissioni in un numero di 8, compreso il presidente. Dove l’equilibrio tra le parti è tassativamente fissato in 5 componenti per la maggioranza e in 3 per la minoranza. Da qui le molteplici anomalie legate alla rappresentanza di Identità Scafatese, presente nelle commissioni non come maggioranza ma neanche come opposizione. E’ il caso di Daniela Ugliano ad esempio, che pur senza far parte degli alibertiani, conserva ancora la presidenza della commissione statuto, da regolamento destinata a un membro della maggioranza. Diversamente hanno fatto gli altri due ex alibertiani, Pasquale Vitiello e Alfonso Carotenuto, che dopo aver ufficializzato l’abbandono del primo cittadino, hanno contestualmente rassegnato le dimissioni delle commissioni da loro presiedute. Insomma, da queste parti la matematica è sicuramente un’opinione, o meglio, una libera interpretazione. E la maggioranza è dinamica, plasmabile secondo occorrenza.
IDENTITA’ SCAFATESE E ASSESSORE SICIGNANO: L’ACCORDO?
Condizioni necessarie per il loro voto al bilancio del 16 giugno era l’accettazione di una serie di punti programmatici inerenti il bilancio. Stefano Cirillo, Bruno Pagano e Daniela Ugliano avevano presentato al primo cittadino e alla loro maggioranza un documento da sottoscrivere in toto, e all’unanimità, affinchè la loro presenza fosse ancora interna alla maggioranza. Lo stesso giorno ci furono anche le dimissioni di Raffaele Sicignano, assessore, guada caso, proprio al Bilancio e dato in quota Identità Scafatese. Sicignano lasciò perché le sue proposte non furono condivise dai colleghi, e dichiarò che solo Identità Scafatese aveva recepito le sue indicazioni, sposandone le proposte. Accadde che i tre dissidenti non votarono il bilancio, o meglio, non votarono contro, astenendosi. Poi Sicignano, dopo aver ripresentato una seconda volta le dimissioni, definendole irrevocabili, è rientrato in Giunta senza neanche essere rinominato, e questo perché le sue dimissioni non sono state mai ratificate da Pasquale Aliberti. “C’è stato l’azzeramento del cda Acse e il taglio alle indennità della giunta” chiarì l’assessore, a sua giustificazione. In realtà, la nomina del nuovo cda Acse non rispetta i canoni chiesti da Identità Scafatese, che richiedeva una figura lontano da logiche politiche (il presidente Mascolo è quota Cotucit) e un componente nominato dall’opposizione. Non solo, il taglio del 20% (almeno) alle retribuzioni della giunta non c’è stato ancora. Come a dire, Sicignano è rientrato dando la sua fiducia “sulla parola” del sindaco, ma nei fatti, nulla è accaduto, se non la composizione della giunta a sei. Inoltre, lo stesso accordo presentato il 16 giugno da IS prevedeva anche, in previsione del voto agli equilibri di bilancio di luglio (seduta di mercoledì 27) il taglio di tutto il personale a tempo determinato (staff, posizioni organizzative e pure le dirigenze) e azzeramento dei cda delle restanti partecipate. Il voto c’è stato, ma non il soddisfacimento di questi ultimi punti. Identità però ha preferito restare coerente con il voto del 16 giugno e accettare la mano tesa di Aliberti, che invitava ad astenersi senza votare contro. Un patto di amicizia che supera il patto programmatico. E così 9 consiglieri eletti di maggioranza costituiscono oggi la maggioranza di 24 consiglieri comunali. Qualcosa non torna.