di Alfonso Malangone*
La Città sta assistendo al divampare di incendi feroci. Anzi, ne è proprio al centro, visto che sono andati a fuoco sia il Colle Bonadies che il Colle Bellaria, le aree che costituiscono, o dovrebbero costituire, la cortina verde a sua tutela, insieme al Colle Taborre. Sono eventi che sconfortano, ma non sono i soli. Già nelle scorse settimane, nei quartieri centrali, sono stati avvertiti odori pungenti in orari mattutini mentre ogni giorno, pure di domenica, ingorghi bestiali hanno interessato il viadotto Gatto, con strade collegate, diffondendo polveri sottili e rumori di ogni genere. Coloro che abitano sotto al viadotto, lungo il Porto, ci avranno pure fatto l’abitudine, ma convivere con la pioggia di inquinanti non deve essere di vantaggio per la loro salute. Il mare, poi, è apparso spesso percorso da grumi di pattume vario, fanghi e melma, che ostacolano la balneazione e che difficilmente potranno essere raccolti dalla barchetta ‘spazzamare’. L’esperienza fu fatta negli anni novanta con una flotta di imbarcazioni della specie. Finirono rottamate quasi subito. Poi, nella scorsa settimana, in zona orientale, sono caduti un paio di alberi, di cui uno nella Villa Carrara, non potendone più di sopportare, con i gracili fusti, le enormi chiome cresciute a dismisura. Inutile parlare degli incidenti, delle strade, dei marciapiedi. Sono tutti argomenti trattati quotidianamente sui social. In realtà, a livello locale, appare del tutto inascoltato l’invito di illustri personaggi, pubblici e privati, volti a contrastare il cambiamento climatico, i nubifragi e le inondazioni, riducendo le emissioni di CO2 e degli altri inquinanti con interventi di riequilibrio ambientale e con l’ampliamento delle aree verdi. Su quest’ultimo argomento, il mondo scientifico ha espresso da molto tempo le più vive preoccupazioni per gli sconvolgimenti che avvengono in Amazzonia, dove si ‘produce’ il 20% dell’ossigeno necessario all’intero pianeta. Le foreste sono incendiate da latifondisti bramosi di ricchezza e incapaci di comprendere il contributo fondamentale di quel polmone verde alla conservazione degli equilibri che consentono la vita a una moltitudine di specie. Tutte composte della stessa energia, sebbene assemblata in modo diverso. Forse, abitando abbastanza lontani, potremmo sentirci meno colpiti se avessimo a disposizione valide alternative. E. invece, non le abbiamo, perché le stiamo distruggendo. Come gli ultimi episodi dimostrano ampiamente. Per il Bonadies, si dovranno verificare i danni subiti dagli alberi del rimboschimento voluto nel dopoguerra dal Sindaco Alfonso Menna. Per il Bellaria, invece, nessun problema: non c’è luogo più brullo e spelacchiato in tutto il circondario. Quel colle avrebbe potuto essere il nostro piccolo polmone di ossigeno se fosse stato trasformato in un ‘bosco urbano’ idoneo a generare utilità per tutti i cittadini. Chissà. può essere che ci sia qualcuno interessato ad altre utilità. Molti anni fa, un escavatore mise ‘la benna’ lungo la salita di quella che, pomposamente, viene chiamata via ‘Belvedere’, anche se non si capisce cosa ci sia da ‘bel vedere’. Per giustificare quello scavo, qualcuno parlò di ‘una cava’. La fantasia non è mai mancata, quando si è trattato di metterci una pezza. Quanto al Taborre, è meglio lasciar perdere. L’estrazione di pietrisco lo ha reso un ‘buco nero’, sebbene di colore bianco, visibile dal mare, nel quale va avanti lo stupro del vallone del Cernicchiara. In centro, le aree verdi sono ormai inesistenti, del tutto scomparse dopo le ultime vendite pubbliche. Poco più avanti, la zona dei Picarielli è in finale cementificazione. Tuttavia, sette o otto fabbricati, si dice di Cooperative, sono fermi e vuoti, pur avendo favorito la distruzione degli orti, il taglio degli alberi e il tombamento dei ruscelletti di acqua. Più in su, con ciclopiche opere di contenimento, nuove costruzioni hanno coperto la parte alta di Sala Abbagnano, mostrando un affaccio ‘scomposto’ sulla Città. Eppure, lo sanno tutti che la collina non è delle più solide e sono presenti zone a rischio frana di categoria ‘2’, media, e ‘3’, elevata. Lo dice l’Ispra. Nei pressi dello Stadio, grattacieli con le luci ‘sdentate’ di notte, vivono nella desolazione di un’area senza vita mentre, a breve, il nuovo Ospedale occuperà all’incirca 200.000 mq. nei pressi della cosiddetta zona industriale, portando alla saturazione l’intera area. Peraltro, si dovrà anche costruire la famosa piscina da 50milioni di euro per farci nuotare i pescecani dei film horror. Viste le condizioni del mare, sarebbe utile fosse messa a disposizione dei cittadini, lasciando ai pescecani il piacere di nuotare tra l’horror dei fanghi. Intanto, nella collina dell’Olivieri, sotto i ponti dell’autostrada e in terreno per niente compatto, con zone a rischio frana di categoria ‘3’, elevata, e ‘4’, molto elevata, si scavano da un decennio due tunnel che sbucheranno nel vuoto del vallone del Rafastia convogliandoci migliaia di tir. Per poterli indirizzare, si dovrà costruire almeno un ponte, soffocando tutto quell’angolo di territorio già soffocato di suo. A Fratte, quartiere degradato ed abbandonato a sé stesso nonostante la presenza di importanti reperti Etruschi, fumi industriali ed autostradali asfissiano i residenti, e, da qualche tempo, anche una Clinica. In quell’area, ascoltando le proteste, l’incidenza dei tumori sarebbe più elevata che altrove. Nei pressi, sono state tappate le acque curative delle ‘Terme Campione’ e quelle della ‘Vitologatti’. Comunque sia, complimenti a tutti. La Città è al terzo posto, in Campania, dopo Napoli e Giugliano, per consumo di suolo. E’ pari a 2.050 ha, il 34,4% dell’area urbana. Lo dice sempre l’Ispra. Tra i Comuni Italiani oltre i 100.000 abitanti, occupa il 12° posto. Lo dice ancora l’Ispra. Così, c’è rimasto ben poco da calpestare, considerata la presenza di luoghi invivibili, come corpi fluviali, argini, terreni scoscesi, svincoli e rotatorie, ponti e viadotti. A ben pensare, stiamo trattando il nostro territorio come se fosse l’Amazzonia. Però, mentre per essa, per l’ambiente e per l’inquinamento globale, qualcuno pure si preoccupa, e talora contesta, per la Città, nessuno dice una parola, a parte voci dell’opposizione politica. Non protestano gli uomini di cultura, non protestano gli ordini professionali, non protestano le associazioni ambientaliste, non protestano i residenti, che accettano supinamente i danni di una Città confusa e di un ambiente malato che, probabilmente, fa ammalare molti di loro. E, ancora più stranamente, neppure protestano gli studenti, futuri eredi, che pure ogni tanto fanno qualche manifestazione. Chissà, forse solo per fare ‘filone’. Il dio-cemento ha convinto tutti, e tutti si prostano in adorazione. Eppure, l’edificazione del territorio, con una popolazione in continua decrescita e giunta, ormai, al di sotto dei 126.000 residenti, è assimilabile ad un omicidio o, meglio, ad un suicidio collettivo. Così, contro il petrolio, il carbone e gli inquinanti, e in favore dell’Amazzonia, dei ghiacciai e anche degli orsi, mancando un interesse diretto, nessuno disdegna di stringere le mani e girare in tondo. Per i problemi della Città, no, non si fa. Perché un diffuso egoismo porta ciascuno a pensare al proprio vantaggio. Quindi: se va bene a me, chissenefrega degli altri. E, chissenefrega, se la Città è devastata da interessi personali, io penso al mio; chissenefrega, se non c’è lavoro, io ce l’ho; chissenefrega, se non c’è cultura, anzi: cos’è la cultura?; chissenefrega, se la gente muore, io campo. E: “il futuro dei figli”? “Per carità, non c’è problema, perché andranno via in una Città migliore”. E: “se dovessero restare”? “Fatti loro. Chissenefrega, anche di loro”. *Ali per la Città