
Al via, stasera, alle ore 19, al Complesso di San Michele a Salerno, il cartellone musicale realizzato da Fondazione Carisal in collaborazione con i “Concerti d’Estate di Villa Guariglia”, per la direzione tecnica di Olga Chieffi, nell’ambito del programma “I Venerdì di Caravaggio”, che farà da colonna sonora alla visione della “Presa di Cristo” di Caravaggio, in Mostra presso la sede della Fondazione Carisal fino al 23 marzo 2025. “La Fondazione Carisal propone un programma culturale che crea interazione tra le arti: la pittura, il teatro e la musica per poter godere appieno della grande tela del Merisi. Ascoltare la musica dell’epoca barocca, consente di avvicinarsi il più possibile al pensiero dell’artista ed entrare nel clima culturale che ha influenzato la sua produzione artistica” ha dichiarato il Presidente Domenico Credendino. Il primo dei cinque concerti in programma, per il quale si ringrazia il direttore del Conservatorio “G. Martucci” di Salerno, Fulvio Artiano, dal titolo “Un viaggio in Europa” è stato affidato all’Ensemble La Burrasca, composto da Mario Ricciardi ai flauti dolci, Sergio De Castris al violoncello barocco e Pierfrancesco Borrelli al clavicembalo. La serata principierà con la prima Sonata in Re minore per flauto contralto e basso continuo, nei tempi Amoroso, Allegro, Largo, Allegro, di una raccolta che ne conteneva dodici, eseguibili anche dal violino, composta dal napoletano Francesco Mancini, pubblicata a Londra probabilmente nel 1724 con una dedica al console generale inglese per il Regno di Napoli John Fleetwood. Una raccolta che riscosse un immediato quanto duraturo successo tanto da contare ben tre edizioni nell’ultima delle quali sparì l’indicazione del violino. Sicuramente l’opera aveva avuto un grande successo presso i flautisti tanto da rendere superflua l’indicazione della possibilità di esecuzione con un altro strumento. E’ un brano, questo di scuola, formalmente costruito secondo lo schema della sonata corelliana in quattro movimenti, che si impone per la ricchezza armonica, per la perizia della scrittura contrappuntistica e per una cantabilità di ascendenza operistica evidente nei movimenti lenti, che è il sigillo della scuola partenopea di composizione. Tra la fine del Seicento e l’inizio del Settecento il violoncello è protagonista di un’evoluzione sorprendente, passando dall’essere uno strumento pensato esclusivamente per la realizzazione del basso continuo a diventare “voce solista” in concerti, sonate, capricci, toccate. I compositori cercano via via di esaltarne l’affettuosa cantabilità e la struggente dolcezza, trattando il violoncello quasi come fosse un “cantante”, senza trascurare quindi anche le potenzialità virtuosistiche. Tra questi spiccano i modenesi Giovanni Bononcini e suo fratello minore Antonio Maria. Michel Corrette attribuisce a Giovanni l’invenzione di un violoncello dalle dimensioni un po’ più ridotte – simili a quelle usate tutt’oggi – permettendo allo strumento di essere più maneggevole e agile, per slanciarsi in pirotecnici passaggi di bravura, che ascolteremo nella Sonata in La minore composta da Giovanni, nei tempi Andante, Allegro, Grazioso, Minuetto I e II. La Burrasca accenderà, quindi, i riflettori su Diogenio Bigaglia, compositore attualmente ancora sconosciuto ai più, attivo a Venezia nella prima metà del Settecento, contemporaneo dunque dei ben più noti Tomaso Albinoni, Alessandro e Benedetto Marcello e, soprattutto, di Antonio Vivaldi, la cui opera presenta diversi evidenti rimandi – più o meno espliciti – alla sua produzione. Egli si rivelerà in questa sonata per flauto soprano e basso continuo, in La minore, nei tempi, adagio, allegro, tempo di minuetto, allegro non solo per l’intrinseca qualità musicale, ma anche per l’influsso che la sua attività può aver avuto su nomi a noi più noti, facente parte di una raccolta pubblicata nel 1722. La Sonata prima in Re minore per cello e basso continuo, di Alessandro Scarlatti ci trasporta nella Roma barocca del primo Settecento. Il musicista, interessato soprattutto all’opera, solo nell’ultima parte della sua vita si dedicò alle composizioni cameristiche, ispirato da prestigiosi virtuosi. La pagina si articola in quattro movimenti, largo, allegro, largo, a tempo giusto, nei quali lo strumento ad arco è sempre il protagonista indiscusso e virtuoso. Si passerà, quindi al Johann Sebastian Bach della partita BWV997 in Do minore andata perduta ma della quale si conserva la intavolatura per liuto, forse un lavoro concepito sul clavicembalo, ma originariamente destinato al Liuto, che ascolteremo nella trascrizione per flauto dolce, pervenutaci da Johann Christian Weyrauch, in una versione che risulta in soli tre movimenti, un Prélude, la Sarabande e una Gigue mentre la lunga Fuga e il Double sono omessi. Sergio de Castris, si cimenterà quindi, con la prima delle dodici Sonate per violoncello solo con basso continuo di Giovanni Benedetto Platti, datata 1725, di schietto stile barocco e probabilmente composta prima delle altre, come riteneva Torrefranca, il quale suggeriva la possibilità che fosse stata scritta in età giovanile. Strutturalmente semplice e lineare potrebbe anche sostenersi l’ipotesi, che Platti l’avesse composta per qualche “dilettante” violoncellista appartenente alla corte, non escluso lo stesso conte Schönborn. Ciò non significa che manchi di liricità nei tempi lenti e di difficoltà tecniche nei passaggi veloci; la sonata resta lo specchio del grande amore di Platti verso questo strumento. Finale con la IV in La minore, delle quindici Sonate per flauto o oboe o violino e basso continuo, pubblicate ad Amsterdam nel 1731 da Georg Friedrich Händel, esempio di composizione barocca che unisce elementi di espressività, virtuosismo e una struttura formale ben definita. Il movimento iniziale, Larghetto, si distingue per la sua scrittura tersa ma profondamente emotiva, tipica del patetismo barocco, dove il flauto assume un ruolo centrale nel dispiegare una melodia ampia e cantabile. Il successivo Allegro, strutturato come un’Allemanda si distacca dalla tradizione per il suo respiro ampio e la qualità eccezionale dell’invenzione tematica. Il breve Adagio che segue inizia con intenzione barocca, ma si evolve in un canto accorato e intenso. Infine, l’ultimo Allegro riprende alcuni elementi del secondo movimento, ma in modo più leggero e virtuosistico. Il ritmo è vivace e spigliato, con una scrittura strumentale che mette in luce le capacità tecniche degli esecutori.