Salerno. Foce Irno, le responsabilità - Le Cronache Attualità
Attualità Salerno

Salerno. Foce Irno, le responsabilità

Salerno. Foce Irno, le responsabilità

di Alfonso Malangone*

Discussioni e riflessioni pubbliche sulla vicenda delle aree ex-Italcementi di Foce Irno, Prog 1/b Lotti 1 e 2, e di via Vinciprova, Prog 3, stanno diradando o addensando, a seconda dei relativi punti di vista, molte nubi nel cielo delle due principali parti interessate: i cittadini e l’Amministrazione Comunale. Per i primi, desiderosi di preservare l’utilizzo pubblico, le critiche appaiono come folate di vento in grado di riportare il sereno nella futura vivibilità della Città, mentre per l’Ente, preoccupato per la situazione finanziaria di Bilancio, quelle stesse folate possono essere interpretate come causa di addensamenti forieri di forti precipitazioni. In realtà, potrebbero esserci anche delle responsabilità ma, di questo, spetta ad altri parlare. Comunque sia, è evidente che laddove quelle aree fossero ritenute inalienabili, il primo effetto sarebbe quello di sottrarre entrate complessive pari almeno a 15 milioni di euro destinate al ripianamento del mostruoso disavanzo di originari € 162,2milioni. Primo in Italia per quota pro-capite. E’ ben noto, al riguardo, che la cessione dei beni pubblici è una componente fondamentale del rientro poiché dalla cosiddetta ‘valorizzazione’ dei beni pubblici, termine spesso utilizzato dagli esperti, davvero inopportuno, alla fine dovranno essere generate entrate per ben € 77milioni a fronte di incassi già contabilizzati per circa € 30milioni. Ne mancherebbero circa € 47milioni. Un obiettivo enorme che priverà la Comunità di tutto ciò che è pubblico e di cui neppure si conoscono le conseguenze visto che, nell’ultimo elenco dei beni da vendere, escludendo l’area del Volpe, Prog 6, sulla quale si farà il campo da calcio provvisorio, il totale disponibile non è superiore ai 25 milioni di euro, salvo errore. E, quindi: “quali e quanti altri dovranno essere aggiunti?” Fu l’Assessora al Bilancio del tempo a dichiarare, solennemente: “venderemo tutto”. Così, potrebbe restare solo il Palazzo Comunale. In definitiva, non può disconoscersi che la faccenda abbia un interesse assolutamente prioritario e che la domanda da porre sia molto elementare: “la destinazione pubblica, dichiarata nell’atto di acquisto dei suoli ex-Italcementi, può essere considerata un impedimento alla vendita?” Ci vogliono gli esperti. Ma qualcosa si può pure dire. L’area di sedime fu acquistata con una precisa destinazione d’uso che, trovando la sua fonte nell’art. 8 della Legge 730/1986, è da ritenere assolutamente valida ed efficace. Per quella disposizione, i suoli della specie dovevano essere vincolati ad esclusive “esigenze produttive, sociali e pubbliche”. In tal modo, si intendeva privilegiare la tutela di un interesse preminente, ritenuto meritevole, attraverso una separazione funzionale di questi beni dalla totalità del patrimonio pubblico. Al riguardo, è appena il caso di osservare che, salvo errore, il Comune beneficiò della esenzione dall’imposta di registro ai sensi dell’art. 1 della tabella ex Legge 131/1986 che, appunto, escludeva l’imposizione per gli atti dei Comuni … “diversi da quelli relativi alla gestione dei loro patrimoni”. Su questo, sono auspicate precisazioni. Peraltro, la decisione assunta nel 1988 di variare il Piano Regolatore, per assegnare a quei suoli la destinazione a “Standard verde e parcheggi”, fu palesemente preordinata, al punto che l’atto venne firmato dalle parti solo dopo la conclusione della procedura di approvazione della variante, avvenuta nel Luglio 1994. Cioè, la stipula fu effettuata nell’Agosto 1995 solo perché entrambe le parti erano interessate ad acquisire reciproche convenienze finanziarie e fiscali. Questo, emerge chiaramente dalla precisazione, in atto, che il vincolo pubblico costituiva “l’elemento essenziale” addirittura per la formazione delle rispettive volontà negoziali. In poche parole: in mancanza, nessuno avrebbe firmato. Sul punto, è esaustiva la riflessione del dott. Michelangelo Russo di alcuni giorni fa. Ora, poiché le vendite delle aree sono certamente in contrasto con quell’impegno, si tratta di capire se fosse consentito al Comune di variarne la destinazione per trasferirle ai privati. Per approfondire, è necessaria una premessa. Alla data della stipula, non c’era una norma volta a regolamentare il cosiddetto vincolo di destinazione, introdotto solo nell’anno 2005 con l’art. 2645 ter del Codice Civile. Così, leggendo qualche testo, si potrebbe ben sostenere che, al caso specifico, siano da applicare le disposizioni sulle servitù reali ovvero, con maggiore attendibilità, di qualificare quel vincolo tra le servitù atipiche a carattere obbligatorio. Queste ultime, infatti, sono l’effetto di specifiche volontà negoziali e sono rivolte al soddisfacimento di interessi personali dei contraenti. Quindi, in quanto espressione della Comunità e a parte i vantaggi di cui si è detto, il Comune avrebbe chiuso il contratto per attribuire ai cittadini le utilità oggetto del vincolo. Ora, con l’inosservanza dell’impegno, l’Ente sarebbe responsabile contrattualmente solo nei confronti della Italcementi, o dello Stato, ma non verso la Comunità che, in quanto rappresentata dagli Amministratori, non avrebbe diritto a reclamare alcunché, pur per eventuali conseguenze sfavorevoli conseguenti ad azioni avviate dall’Italcementi o dallo Stato. Ora, che possa agire l’Italcementi, appare davvero difficile, visto che ha condiviso vantaggi e condividerebbe svantaggi. Che sia lo Stato, chissà. In ogni caso, nulla cambierebbe sulla destinazione dei suoli. Secondo questa interpretazione, infatti, spetta all’Ente, e solo ad esso, decidere per il meglio. Che, talora, potrebbe anche non essere tale. Peraltro, se pure fosse contestata l’assenza di una espressa autorizzazione rilasciata dai cittadini, in quanto diretti beneficiari del vincolo, sarebbe agevole osservare che la loro volontà è assorbita dal mandato popolare. Però, se così fosse, emergerebbe almeno una conseguenza: sarebbe necessario compensare la sottrazione di utilità con la messa a disposizione di eguale utilità. Infatti, la Legge n. 765/67 dispone che, togliendo un’area a Standard, sia offerta altra area “rigorosamente all’interno di ciascuna zona territoriale omogenea”. Salvo errore. In sostanza, potrebbero esserci motivi per sostenere che l’effetto dell’inadempimento contrattuale sia fonte di un danno insopportabile per la Comunità. Ma, anche su questo, si potrebbe eccepire, perché le somme introitate sono indispensabili per fronteggiare l’enorme disavanzo finanziario di Bilancio. E, quindi, sarebbe una decisione necessaria e favorevole. Epperò, questo disavanzo non è stato causato dai cittadini, bensì è frutto di negative scelte gestionali poste in essere, in massima parte, dagli stessi che, oggi, intendono sistemarlo ‘valorizzando’ i beni di tutti. Gira, gira, si conferma che i problemi sono sempre e soltanto dei cittadini. Colpevoli sempre. Anche di avere fiducia. *Ali per la Città

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