
di Alfonso Malangone*
Centottanta autografi non sono pochi, in una Città nella quale vige la regola ‘armiamoci e partite’. E dove, comunque, la paura della firma regna sovrana anche quando viene chiesta per sostenere la difesa delle farfalle. Se ce ne fossero. In verità, secondo le informazioni rese pubbliche, il numero dei semplici cittadini che hanno sottoscritto l’esposto presentato in Procura per i suoli di Foce Irno e via Vinciprova è stato di 222, poi ridotto in sede di convalida per la presenza di firme poco leggibili, di documenti incompleti o di fotocopie sbiadite. Comunque sia, la partecipazione è stata certamente alta, a prova di quanto sia estesa la delusione per la decisione dell’Amministrazione di sottrarre all’uso pubblico un’area acquistata proprio per essere destinata – esclusivamente – a tale finalità. Sotto l’aspetto legale, l’esposto ha condiviso le tesi delineate in numerosi commenti secondo le quali la volontà di destinare quelle aree “a verde e parcheggi”, consacrata in atto, ne impediva l’alienazione e, comunque, se pure fosse stata richiesta e ottenuta una specifica autorizzazione alla cessione, non ne consentiva un utilizzo diverso da quello deciso in sede di acquisto. A seguire, il documento ha esposto motivazioni più propriamente ‘naturali e umane’ attinenti, cioè, agli aspetti quotidiani della vita dei residenti e di chi frequenta il Centro Città. Più precisamente, sono state messe in evidenza le potenziali conseguenze nefaste della sua cementificazione sugli equilibri ambientali, benché già compromessi, e sulla salute dei cittadini, ancor più laddove i fabbricati per attività terziarie fossero anche parzialmente convertiti in residenziali. Né è mancato un giudizio critico per l’aggressione nei confronti del paesaggio al quale, in funzione della tutela Costituzionale, dovrebbe essere dedicata ben diversa attenzione se davvero la Città fosse orientata a risalire nella classifica delle località turistiche. Infine, un particolare richiamo è stato fatto alle utilità di quelle aperture verso il mare per il ricambio dell’aria, per l’abbattimento delle polveri sottili, per la riduzione dello smog, per la mitigazione della temperatura nei periodi di calura estiva e, in ultimo, ma non per ultimo, per la loro idoneità a essere luoghi di raccolta per le migliaia di cittadini, residenti e non, in occasione di sventurati eventi naturali. In merito, prendendo atto della fase sismica presente nell’area di Pozzuoli, e premesso che l’inclusione del Comune di Salerno nella zona di livello due non consente di escludere forti terremoti, è stato sottolineato che lo stesso Dipartimento della Protezione Civile della Presidenza del Consiglio dei Ministri dispone di destinare, in ogni Città, spazi adeguati a sostegno delle strategie di soccorso. E’ evidente che la costruzione di nuovi edifici non solo assorbirà aree di temporanea raccolta, sottraendo vie di fuga, ma costringerà a realizzare altrove zone di accumulo aggravando la minaccia per le vite umane. In tutto questo, la decisione di vendere anche la vicina Piazza Mazzini costituisce davvero una scelta disgraziata. Su tutta la vicenda, nei giorni scorsi sono state diffuse alcune dichiarazioni dell’Amministrazione a difesa della regolarità delle operazioni poste in essere, benché senza fornire puntuali riferimenti giuridici. In particolare, sono state assicurate la trasparenza delle procedure, ad ogni livello, e l’esclusione del possibile utilizzo residenziale delle aree. Non è opportuno parlare di questo, adesso. Però, non si può omettere di osservare che le procedure trasparenti non necessariamente sono espressione anche del pieno rispetto delle Leggi e dei Regolamenti. Quanto, poi, al divieto di possibili utilizzi residenziali, ci sono contrarie previsioni negli atti di vendita e provvedimenti successivi che inducono a qualche dubbio. Salvo ogni errore. Ma, queste, sono discussioni da tecnici. All’opposto, sulla legittimità degli atti amministrativi può essere opportuno riportare il contenuto di un testo redatto dall’Istituto per la Finanza e l’Economia Locale (Ifel), Fondazione istituita nel 2006 dall’Associazione Nazionale dei Comuni Italiani (ANCI) con il compito di assistere gli Enti in materia di finanza ed economia locale e di offrire collaborazione nella ricerca e formazione. L’argomento del vincolo di destinazione, infatti, è stato ampiamente trattato e chiaramente illustrato in un corso tenutosi a fine Settembre 2019 dal titolo “La gestione, valorizzazione e dismissione del patrimonio immobiliare pubblico”. In primo luogo, Ifel definisce come Beni Indisponibili quelli destinati a un pubblico servizio “aventi un doppio requisito: 1) Soggettivo: manifestazione di volontà dell’Ente di destinare il bene ad un pubblico servizio; 2) Oggettivo: effettiva ed attuale destinazione del bene ad un pubblico servizio (Consiglio di Stato 08.07.2019 n. 4783 – 04.05.2017 n. 2034)”. Nel caso di Foce Irno e di via Vinciprova, ci sono entrambi i requisiti. Precisa, poi, che essi: “non possono essere sottratti alla loro destinazione, se non nei modi stabiliti dalle Leggi che li riguardano”. Specifica, infine, che per essi è possibile lo svincolo e la vendita, con negozi traslativi di diritto privato, ma non la modifica del vincolo “fino a quando non venga espressamente rimosso nelle identiche modalità con cui è stato costituito, e ciò in coerenza con l’art. 828, comma 2 c.c., la cui ratio deve essere individuata nel salvaguardare la destinazione dei beni dalle aggressioni dei privati o da atti di mala gestio (Cassazione SS.UU. 16 febbraio 2011 n. 3813 e Corte dei Conti Friuli-V. Giulia 27/05/2014 n. 94)”. Quindi, se è pacificamente riconosciuto che quelle aree erano parte del Patrimonio Indisponibile, la legittimità della loro cessione deve essere documentata esibendo l’autorizzazione acquisita nel rispetto delle procedure di Legge. E, purtroppo, questo non risulta sia stato fatto, salvo errore, visto che l’inserimento tra i beni da alienare venne approvato con la delibera di Consiglio n. 8 del 18/03/2013 che è un semplice atto amministrativo interno. Peraltro, nello stesso ‘Regolamento del Comune per l’alienazione del Patrimonio Immobiliare’, all’art. 7 è scritto: “L’alienazione di beni vincolati da leggi speciali o realizzati con il contributo totale o parziale dello Stato, è subordinata alla formalità liberatoria del vincolo o al rilascio della autorizzazione prescritta a norma di legge”. In definitiva, basterebbe dimostrare questo, per chiudere la questione. Vedremo cosa ne penserà la Procura, laddove decidesse di intervenire. Se 180 cittadini, o 222, o chissà quanti, condividono un medesimo orientamento, non è possibile ritenere che vogliano perseguire un interesse personale. Del resto, è evidente a tutti che le operazioni immobiliari immaginate saranno un ulteriore elemento di danno per la qualità della vita. In una Città ideale, giammai può accadere che i cittadini siano costretti a leggere Codici e Regolamenti per tutelare i loro diritti. Né che debbano impegnarsi in prima persona per risolvere un problema comune. Sono le Città irreali quelle nelle quali essi sono obbligati ad esprimere il proprio dissenso, non nella veste di avversari, ma perché fortemente desiderosi di vivere in armonia quotidiana con la natura, fonte di benessere per tutti. Forse, gli avversari della Città andrebbero ricercati tra coloro che possono aver svilito il valore della sua identità, tradito il vigore della sua vocazione, mortificato il peso della sua cultura e quello della sua umanità, sottomettendola agli interessi di prenditori venuti anche da lontano, indebitandola fino ai capelli, imponendo una tassazione spropositata e privandola, con cessioni oggi neppure necessarie, delle sue ricchezze storiche. Chi si sacrificò per renderla felice, mai avrebbe immaginato che potesse diventare un luogo ostile nel quale, in ogni settore, si è perso ormai il confine tra il bello e l’orrendo, tra il bene e il male, tra il giusto e l’iniquo, tra la morte e la vita. Questa Città ha bisogno di amore. *Ali per la Città