Salerno. Design e degrado urbano - Le Cronache Salerno
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Salerno. Design e degrado urbano

Salerno. Design e degrado urbano

Alberto Cuomo

Cosa sanno gli architetti salernitani della vergognosa occupazione cementizia degli specchi d’acqua interni al porto e della spiaggia dell’hotel Baia? Discutono a Salerno dell’uso distorto del Puc? Certamente no! E pure solo sabato scorso si è conclusa la “Salerno Design Week 2025”, la settimana dedicata al design con tema “la gentilezza del design”, intesa quale capacità di cambiare in meglio le vita delle persone e lo stesso ambiente. Una illusione coltivata sin dal Moderno e risoltasi in ideologie falsamente interpretative della realtà, compresa quella della professione dell’architetto, e pertanto nel totale fallimento, ovvero nella resa al mercato che, al contrario, mortifica la vita offrendole un prezzo. E’ del lontano 1969 il saggio di Manfredo Tafuri riguardante la “critica dell’ideologia dell’architettura” in cui il compianto storico metteva in luce come le idee “eroiche” degli architetti, rivolte a cambiare con il progetto il mondo, non agissero che quale opposizione alle logiche della produzione capitalistica tuttavia a questa funzionale, in quanto negazione dialettica attraverso cui il capitale, quello della costruzione e del design, si aggiornava, hegelianamente, nella negazione della negazione verso modi più avanzati. Una lezione del tutto dimenticata, tanto più a Salerno dove l’oscurantistica gestione dell’Ordine degli architetti, invece di aprire alle idee si è chiusa in una conduzione burocratica offrendo spazio solo ad un posto per la figlia del presidente (De Luca docet: i figli so’ piezz’ e core). Una gestione del tutto dimentica degli anni 70-90 in cui la rappresentanza degli architetti era tanto attiva nelle discussioni sul futuro urbanistico della città da assumere in esse un ruolo di primo piano. Una delle sedi della kermesse è stata la chiesa detta dei “morticelli”, ovvero di San Sebastiano del monte dei morti, e mai sede fu più azzeccata – dato il martirio del santo e la conformazione del rilievo su cui sorge la chiesa che doveva ricordare o era un tumulo funerario – a segnare il destino di architetti e designer, salernitani e non solo. Del resto a mostrare l’insuccesso dell’evento è il fiasco del crowfonding, la raccolta fondi tra i partecipanti per ulteriori manifestazioni, che ha raccattato una somma ridicola, 1150 euro, rispetto a quanto gli organizzatori si erano prefissati di ricevere, 50000 euro. La “gentilezza” del design di cui al tema della manifestazione, inoltre, è stata rinviata sia alla piccola scala degli oggetti d’uso che alla grande scala della città da “rigenerare”, secondo la parola d’ordine appartenente al falso gergo di De Luca, protettore degli architetti dei morticelli, cui ha concesso l’uso della chiesa, falsamente attribuita anche al dipartimento di Architettura di Napoli. E “dal cucchiaino alla città” era lo slogan coniato nel 1952 da Ernesto Nathan Rogers, direttore della rivista “Casabella”, per la Carta d’Atene, un documento periodicamente stilato dai progettisti del mondo, Le Corbusier, Aalto, Sartoris, etc. riuniti per i CIAM (Congressi Internazionali per l’Architettura Moderna) la cui edizione del 1933 si era tenuta su una nave in navigazione nel Mediterraneo, per ribadire il loro impegno nel progetto. Uno slogan che nel 1969, anno del saggio di Tafuri, era già morto, anche presso gli stessi designer, i quali, come era per quelli del gruppo Metamorph, negli anni 70 progettavano mobili e oggetti rivolti a contestare la produzione industriale cui pure si affidavano (si pensi a Ettore Sottsass il quale riteneva che “le opere sono cadaveri vaganti”). Dal 1969 molta acqua è passata sotto i ponti, ma il carattere ideologico, ovvero di falsa coscienza e anche di cattiva coscienza, ha continuato a caratterizzare i discorsi degli architetti. Si sono susseguiti così il culto per la storia confluito nel postmodernismo, buono per arredare bar e istituti di bellezza; la rottura dei linguaggi costituiti nel moderno giunta al decostruzionismo degli archistar che, affermando la libertà delle forme para-metriche, ha prodotto le peggiori speculazioni, non solo a Dubai o New York ma anche in città europee, qual è Londra, ad esempio, con il noto grattacielo di Renzo Piano, the shard, il frammento, eretto imperioso sulla city smentendo il proprio nome e decostruendo-copiando un altro grattacielo elevato 30 anni prima a San Francisco. E via via poi con le affermazioni della sostenibilità che in Italia, con Boeri, hanno fatto da paravento all’abbattimento e a all’occupazione di vecchi quartieri, a Milano il quartiere Isola, e ora con quella della ri-generazione urbana, richiamata nella nuova legge urbanistica della Regione Campania allestita dall’assessore Bruno Discepolo ed offerta all’interpretazione dei privati. Proprio la città di Salerno è stata l’incubatore della sperimentazione di una rigenerazione che si è risolta di fatto in una cementificazione: si sono accorti dell’ingolfamento cementizio della nostra città i designer, ovvero gli architetti salernitani o preferiscono crogiolarsi nelle loro vuote parole d’ordine? Certo, sponsorizzate da Confindustria, da banche, aziende, e enti istituzionali che si richiamano a De Luca le manifestazioni come “Salerno Design Week 2025” non possono lasciare spazio alla libera parola degli architetti. Ed è per questo che il loro organo rappresentativo invece di patrocinarle, dovrebbe tentare di aprire dibattiti veri sulla condizione della città e della professione progettuale. Da tempo a destra e a sinistra i rappresentanti dei cittadini si occupano degli stessi interessi spesso con analoghe ricette, negando la politica quale luogo di discussione di cui si dicono interpreti. Forse è proprio compito di istituti non allineati, quali sono gli ordini professionali, sfuggire il servilismo verso i potenti e affrontare gli argomenti disciplinari di cui sono tutori.