Salerno. Cinque anni fa moriva Ugo Pellecchia - Le Cronache Salerno
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Salerno. Cinque anni fa moriva Ugo Pellecchia

Salerno. Cinque anni fa moriva Ugo Pellecchia

di Vito Pinto

Su “Il Duca” del primo maggio 1993, un quindicinale edito a Positano e diretto da Luca Vespoli, Ugo Pellecchia, che aveva una rubrica sulle piante della Costiera, scriveva: «Tra le tante varietà di piante e di fiori che si incontrano nel meraviglioso parco di Villa Cimbrone, a Ravello, il turista viene certamente colpito da una splendida pianta che quasi copre l’intera larghezza di questo camminamento che porta alla terrazza dell’infinito. Si tratta di un albero il cui nome scientifico è “Cercis Siliquastrum”, ma è conosciuto ai più come “l’Albero di Giuda”. La leggenda, che forse trova fondamento in una tradizione orale cristiana, narra che, dopo il tradimento e alla vista della condanna che Gesù aveva subito, Giuda s’impiccò ad un albero preso dal rimorso. E la leggenda dice che quell’albero era appunto il “Cercis Siliquastrum”». E dopo aver spiegato le caratteristiche dell’albero, concludeva dicendo che questo «sembra essere un albero per tutte le stagioni e dalla bellezza opulenta».
Un assaggio, questo, della vasta conoscenza che don Ugo, come tutti lo chiamavano, aveva dei fiori e delle piante in specie del territorio salernitano. Il lavoro di fioraio per Ugo Pellecchia era una passione artigianale, cioè un mestiere delle mani dove la componente primaria è la creazione. Ed era una conoscenza continua, un arricchimento di una sensibilità unica in un uomo cresciuto e formatosi in mezzo a quella continua ri-generazione della natura che gli faceva esclamare: “La più bella composizione di fiori è quella di Dio giardiniere”.
Ricordava: «Mio nonno ha iniziato nel lontano 1919 a Nocera, quando l’Agro era ricchissimo a causa delle industrie e Salerno era una piccola località di mare. Ho compiuto i miei studi tecnici a Salerno e sembravo avviato ad una carriera in banca, ma il richiamo dei fiori era troppo forte e così non ho ceduto alle lusinghe e mi sono dedicato anima e corpo a quest’attività sulla scorta della mia esperienza familiare. Prima l’attività del fioraio era un vero e proprio artigianato e si vendevano quasi esclusivamente fiori. Era però un mercato troppo piccolo, perché la gente pensava prima a necessità più urgenti, come costruirsi il bagno». Si ferma, don Ugo, nel suo racconto, la mente va oltre il presente, ritorna in un passato in cui crescere significava formarsi. Poi, quasi in sussurro, diceva: «Avevamo un giardino enorme nel quale ho cominciato ad imparare tutti i segreti delle piante.»
Nato nel 1936, giustamente definito “maestro fioraio e giardiniere di grande talento”, don Ugo era un uomo di altri tempi, sempre prodigo di idee e consigli, le sue creazioni hanno addobbato le case, i giardini, gli hotel e gli eventi più importanti della città di Salerno e della vicina Costiera Amalfitana. Non solo, perché le sue composizioni floreali hanno ispirato anche diversi artisti salernitani che riportavano nei loro lavori pittorici gli incredibili cromatismi floreali che solo don Ugo aveva il coraggio di mettere insieme avendo la forza della conoscenza.
Negli anni ottanta presso gli studi di TV Oggi, televisione salernitana, condusse il programma “Idea Verde” nato dal connubio tra la sua capacità di porsi agli ascoltatori e l’intuizione del direttore di quella emittente: un programma che fu antesignano in questo settore. E ogni giorno successivo alla trasmissione il negozio di don Ugo si riempiva di gente che cercava consigli per gli addobbi di casa e i giardini, cominciava ad avvicinarsi ai fiori e alle piante e, a volte, solo per la curiosità di conoscerlo e parlargli.
A ripensare a quest’uomo dallo sguardo sereno, dal sorriso che mai lo abbandonava quando parlava con i clienti, elegante e garbato nei modi, ritorna alla mente quanto diceva Thích Nhất Hạnh, monaco buddhista, poeta e attivista vietnamita per la pace: «Com’è fresco il soffio del vento! La pace è ogni passo. E fa gioioso il sentiero senza fine». La figlia Anny, che ha raccolto il testimone d’amore per la natura lasciatole dal padre, ricorda: «Quello che stupiva era la facilità con cui faceva ogni cosa. Nessuno però sapeva che dietro quell’esplosione di energia, c’era un’infanzia dura e solitaria, senza genitori, la morte tragica della sorella Annamaria, la guerra, i bombardamenti e lo stupore di essere ancora vivo nonostante tutto». E forse era questo “stupore” che faceva di lui non un fioraio, ma un uomo della natura con la quale viveva in simbiosi.
Ricordava che non appena vide quel pezzo di terra poco distante da Vietri sul Mare, ad affaccio sul mare della Costiera, se ne innamorò immediatamente ed ebbe subito l’impulso di doverlo comprare. E fu il giardino d’amore per quotidianità e per non morire, il giardino laboratorio da cui attingeva foglie di palma, banani, papiri, bacche, rami per creare poi in negozio le sue immaginifiche composizioni floreali.
E c’era la limonaia dove, nelle sere d’estate, arrivavano milioni di lucciole e da dove i fiori di zagara, schiudendosi, impregnavano l’aria del loro profumo, intenso, di cui ci si può beare solo in questa parte di costa montuosamente marina… la natura aiuta l’uomo a costruire i sogni.
Don Ugo fu un pioniere dell’arte floreale, si aggiornava continuamente su libri di botanica, di arredo giardini, composizioni. Inconsapevolmente stava, nel contempo, costruendo una biblioteca particolare, dove tutto parlava di fiori, di piante, di natura d’Italia e del mondo. E il mondo lo aveva ampiamente visitato: la Foresta Amazzonica, i boschi di Sequoia, le foreste asiatiche ricche di orchidee, il Giappone con il mistero dell’arte del bonsai e dell’ikebana, erano state sue mete preferite.
Ricordava: «In un mio viaggio in Sud America tra il Brasile e l’Argentina esattamente nello Stato del Paranà, intorno alle selvagge cascate dell’Iguacu, vidi finalmente la Chorisia (una pianta incontrata per la prima volta da Pellecchia a Positano nel giardino dell’Hotel San Pietro) nel suo luogo d’origine, nel suo ambiente naturale. In queste sue zone viene volgarmente chiamata “Palo Burrasco”. Quest’albero che si presenta come una bottiglia gigante, raggiunge il massimo del suo splendore nel mese di luglio. I suoi fiori sono veramente particolari: hanno l’aspetto di grandi lilium e danno anche l’idea di carnose orchidee di vari colori». E nel raccontare quell’esperienza gli occhi si illuminavano di gioia, così come era una festa per ogni pianta nuova che gli giungeva, diventando un racconto di storia di luoghi lontani, esotici.
Diceva alla figlia Anny: “Queste sono piccole agavi, piantiamole nei vasetti” oppure “queste piantine sono un nuovo prato, si piantano orizzontalmente nel terreno, soffocheranno tutte le erbacce! Sarà così morbido che potremo camminarci scalzi!”.
Un uomo di grande sensibilità d’animo, che metteva al centro delle sue cose la natura e la sua salvaguardia e il tutto per donare felicità e, perché no!, serenità alle persone. Diceva: «Lo sguardo dei bambini di oggi, quando passano avanti al negozio, è più interessato e vispo di tanti anni fa e mi si stringe il cuore quando le mamme li trascinano via per colpa della fretta».
Con commozione la mente va alla sensibilità e all’amore che aveva per la moglie Filomena: quando ella si ammalò don Ugo non fece trascorrere un giorno senza che, rincasando, non le portasse un fiore.
Sette mesi dopo la dipartita della moglie, don Ugo si accasciò davanti al Teatro Verdi di Salerno, aveva 83 anni, era il 12 maggio 2019, giorno dedicato alla festa della mamma.
“Domani continuerò ad essere – ricordava Thích Nhất Hạnh – ma dovrai essere molto attento per vedermi. Sarò un fiore o una foglia. Sarò in quelle forme e ti manderò un saluto. Se sarai abbastanza consapevole mi riconoscerai e potrai sorridermi. Ne sarò felice”.
Di quel giorno la figlia Anny ricorda: «Un uomo mi porse l’urna tra le mani, entrai in macchina, era lì tra le mie braccia, destinazione il giardino della sua casa, della nostra casa, alle porte della Costiera Amalfitana».
Quel giorno, nella casa nel verde della Costiera, Ulisse, cane maremmano, restò fermo nella sua cuccia. Il giorno dopo era alla finestra dove si affacciava il suo padrone, con il muso tra le zampe.