Debutta il 1 novembre il corpo di ballo del teatro Verdi di Salerno nel titolo più coinvolgente e poetico per musica e intreccio dei balletti russi con le étoile del massimo partenopeo Anbeta Toromani e Alessandro Macario quali protagonisti, su coreografie di Massimo Moricone
Di Olga Chieffi
E’ forse il Romeo e Giulietta di Prokofiev la sintesi massima della tragedia shakespeariana, racchiusa per intero nell’insuperabile masque, gemma di una delle partiture più intense di ogni tempo. Il problema principale secondo il genio russo era quello di sottolineare la forza dei sentimenti, la verità dei personaggi, e al tempo stesso contrapporre alla violenza delle fazioni politiche, delle famiglie potenti, la bellezza dell’amore libero e giovane. Una sola parola può essere sufficiente a descrivere la partitura shakespeareana del genio russo: poesia. L’opera, infatti, è interamente soffusa di “meravigliosi” “Leitmotive”, ora dolcissimi, ora malinconici, ora tragici, ora drammatici, che delineano la psicologia e l’indole dei personaggi con mirabile precisione, attraverso un nuovo tipo di cantabile, limpido, romantico, nostalgico. La scelta dei pezzi e l’adattamento per renderli brani sinfonici autonomi rivelano che Prokofiev intendeva riaffermare l’indipendenza della musica come linguaggio. Nonostante questo, tutte le sue pagine contengono una plasticità tale, un ritmo e una gestualità così evidenti, che sembrano “scolpite” per il balletto. Balletto o suite orchestrale che sia, la musica di “Romeo e Giulietta” contiene gli stilemi tipici del gioco musicale prokofieviano: asprezza ritmica, originalità armonica, fantasia timbrica, effusione lirica, una tavolozza per dar voce alle infinite sfumature dell’esistenza: c’è la pena del mal di vivere sulle note gravi del fagotto, ma uno scatto orchestrale, all’improvviso, regala forza e speranza grazie alla luminosità dell’oboe, l’italianità dei mandolini e lo strumento del suo secolo, per un intenso solo, il sassofono tenore. La sua è una musica “orizzontale”, immanente, che sa sintonizzarsi su umori, amori e stati d’animo, colorando di suoni la vita dei due giovani. La nascita del balletto, tuttavia, fu difficile e presenta qualche stranezza. Tornato in patria nel 1933, Sergej Prokof’ev ricevette dal Bol’šoj di Mosca l’incarico di creare un balletto d’azione che potesse rinnovare i fasti del trittico caikovskiano di fine Ottocento (Bella addormentata, Schiaccianoci, Lago dei cigni). Si voleva uno spettacolo forte e tradizionale, perché ormai il tempo delle avanguardie era finito. A Prokof’ev il modernista, così, venne chiesto di costruire un monumento per il futuro sovietico. Già nel 1935 la musica era pronta, o quasi, e subito cominciarono a circolare delle suite. Tuttavia bisognò attendere il 1940 per vedere sulla scena il nuovo Romeo e Giulietta, al Kirov e non più al Bol’šoj che aveva rinunciato all’impresa. Quali i motivi? C’è chi dice che ballare quella musica era stato giudicato quasi impossibile; in realtà l’opera era troppo bella e ardita per ballerini timidi e burocrati poco coraggiosi. Ed ecco il mistero. Mentre a Leningrado si discute e si prepara l’evento, Romeo e Giulietta, nel dicembre del 1938, va in scena a Brno, in Cecoslovacchia. Può essere considerata, quella, la vera prima? Di quell’evento si è sempre saputo pochissimo, al di là del nome del coreografo, Vania Psota, e della protagonista femminile, Sora Semberova. Oggi si può dire che il balletto, in due atti, fu montato sulle suite musicali tratte da Prokof’ev e che quasi certamente la musica arrivò nelle mani dei dirigenti del teatro di Bro durante l’ultima tournée in Occidente di Prokof’ev pianista. Il corpo di ballo del Teatro Verdi di Salerno, una felice intuizione di Daniel Oren e della direzione del massimo, quella di comporlo, debutterà, con questo incredibile titolo – preferito al caikovskijano Lago dei Cigni, che torna al Verdi dopo due decenni (al tempo, nel golfo mistico c’era l’Orchestra Filarmonica Salernitana “G.Verdi”, martedì speriamo venga scelta la rilettura potente di Valery lo “czar” Gergiev) il I novembre, alle ore 18, sul palcoscenico del massimo cittadino, con replica il giorno successivo alle ore 21, dopo le audizioni che hanno salutato la partecipazione di danzatori provenienti dall’intero suolo nazionale, su coreografia e regia di Massimo Moricone, con le scene di Alfredo Troisi. I ruoli principali Giulietta e Romeo saranno interpretati dalle due étoile del Teatro San Carlo Anbeta Toromani e Alessandro Macario, quindi, Alex Yordano De Armas Peréz sarà Mercuzio, Raffaele Vasto, Tebaldo, Alex Gattola, Benvolio, Salvatore Esposito Paride, Corona Paone la Madre di Giulietta, Luigi Ferrone, il padre, Morgan Tallot la nutrice, Simone Vallese schizzerà la figura di Frate Lorenzo e Vittorio Malangone, vestirà i panni del padre di Romeo. La trama di questo balletto in quattro atti è nota a tutti, ma riflettendo, possiamo considerare che i Capuleti e i Montecchi si assomigliano molto. Hanno sedici anni, sono pieni di eccessi e si provocano per strada, più per divertimento che per volontà di nuocersi intenzionalmente. Le loro risse non sono mai violente, per permettere loro di identificarsi attraverso una rivalità tra due bande che nessuno prende veramente sul serio, nemmeno Tebaldo e Mercuzio, i più veementi di questi adolescenti. Purtroppo, un giorno il gioco sfugge di mano. Viene inferto un colpo mortale che precipita i protagonisti in una spirale di violenza. Prima che assassini, questi protagonisti sono dei ragazzini, che trasportati dall’amore mentre agiscono in modo impulsivo senza pensare alle conseguenze. Romeo è irresponsabile, disorientato dalla scoperta di un amore nuovo che gli fa dimenticare le sue precedenti conquiste. Quanto a Giulietta, è la prima volta che si innamora. Le sensazioni che lei scopre sono talmente potenti che Romeo non è solo un amante: è l’Amore. Un amore assoluto in confronto al quale non esiste più nulla. Questo straripamento della ragione può portare a concepire realizzazioni e proposte coreografiche che possono anche sconvolge i codici della danza classica in ciò che ha di più tradizionale, ma che conserverà il suo slancio, la sua energia e la sua grazia senza tempo.