La formazione composta dalla violinista Jalle Feest, dalla cellista Emilia Slugocka e dalla pianista Anna Paola Milea, ha festeggiato il proprio ventennale con un raffinato homenaje ad Astor Piazzolla
di Olga Chieffi
Tantissimi gli omaggi ad Astor Piazzolla, nell’anno del centenario della sua nascita, un nome il suo che ha spaccato il popolo argentino, confutando l’idea secondo cui il tango sia una musica fatta per essere ballata, sostenendo che il tango era musica da ascoltare prima ancora che da danzare, colpì il tango e gli argentini, il loro mito, simbolo di quel popolo che si è messo in moto, in viaggio, con la sua musica, il suo credo, la sua danza. Giunge lo scorso anno “Trio for Tango”, inciso dal Trio Parsifal, un trio tutto al femminile, per l’etichetta Luna Rossa Records, con Jalle Feest al violino, Emilia Slugocka al violoncello e Anna Paola Milea al pianoforte, con il contributo di Alessandro Monteduro alle percussioni. In scaletta dieci pagine di Astor Piazzolla, nella trascrizione fatta da José Bragato, Gian Luigi Zampieri e Roberto Piana, tra le più amate e celebrate in tutto il mondo e da ogni strumento e formazione, a cominciare dalle stagioni piazzolliane, seguite da Escualo, Oblivion, La Muerte del Angel, Meditango, Adios Nonino e l’ irrinunciabile Libertango. Se Astor Piazzolla aveva messo i ballerini a sedere, la lettura del Trio Parsifal, affronta la sua opera, con un gusto intensamente classico e cameristico, in particolare le Cuatro Estaciones Porteñas. Ognuna di queste pagine è stata sottoposta a svariati arrangiamenti con i più diversi organici per essere diffusa in tutto il mondo, seguendo il desiderio del musicista marplatense di essere eseguito al di fuori del suo paese. Desiderio condiviso con Vivaldi che proprio attraverso l’Estro Armonico si affacciò sulla scena internazionale. Ognuno di questi brani è una sorta di sintetico concerto in cui alle parti cadenzate da cellule ritmiche strettamente derivate dal tango tradizionale, con un fraseggio in cui una veemente tensione ripudia i colori pastello, si alternano parentesi in cui il ritmo si fa largo se non evanescente ed è ingemmato dai rapinosi, palpitanti e felicissimi doni dell’estro melodico piazzolliano che, anche nel lasso di poche battute, riesce a raggiungere la sfera più profonda e sensibile di chi ascolta. L’esecuzione delle Stagioni in sequenza mette in evidente risalto le affinità e le differenze dei brani. In ogni stagione, Piazzolla cita fedelmente alcuni frammenti melodici o ritmici di ciascuna corrispondente e speculare stagione vivaldiana, e li trasforma fino a renderli quasi irriconoscibili, spesso trattandoli come contrappunto alle melodie del violino. Piazzolla invece sembra descrivere la varietà delle emozioni umane, in un clima che non conosce i rigidi freddi europei, dove l’aria è costantemente densa e pregna di sensualità e la musica è attraversata dal più ampio spettro degli stati d’animo: da una calma dolce o piena di dolore alla violenza della passione. Il trio Parsifal, ponendosi sulle tracce del nome scelto, ovvero dalla frase latina “per se stesso”, “che vale per se stesso”, che cioè si è “fatto” e perfezionato da sé, senza aiuti esteriori, che corrisponde tanto alla vita di Parsifal quale ci è narrata dalla leggenda, quanto alla legge fondamentale dello sviluppo spirituale, con in aggiunta la forma persiana del nome, quella scelta da Wagner, che rivela la natura dell’eroe, ovvero quella di identificarsi con gli altri, legge le pagine di Piazzolla, non tradendo la propria formazione classica e ponendo in risalto, attraverso la ricerca timbrica le linee armoniche del genio argentino. Limpida la lettura delle opere, sostenuta da un corretto equilibrio d’insieme e animata dal bel suono, dalla coerenza sia delle proporzioni che della misura espressiva, tenendo, a volte, un po’ imbrigliata l’emozione, in particolare nelle stagioni, per poi imprimere il proprio segno musicale in quei titoli funzionali a quel dialogo a volte struggente, a volte leggero, tra le tre strumentiste, quasi intrecciando una perturbante e sensuale danza d’amore, che ha alternato tensioni e distensioni; perturbante come è tutto ciò che rimanda a pulsioni ancestrali presenti nell’inconscio collettivo, perturbante, quindi l’ancestrale e il primitivo, che in questa incisione si sono fusi senza iati con la musica alta costituendo anzi, una sorta di sfera armoniosa nel quale gli elementi costituenti la struttura risuonano per simpatia; musica alta, che il trio ci ha ricordato costantemente non essere in conflitto ed incompatibile con la musica popolare delle radici. Il tango va consumato esattamente nell’interludio tra la mancanza e la pienezza, essendo una forma di sopravvivenza, una maniera di riconoscersi e rappresentarsi, di esorcizzare la nostalgia, l’abbandono, il senso di estraneità. Una delle condizioni più stralunate e poetiche della cultura latinoamericana, della cultura pronta a nuove ibridazioni e acclimatazioni, che si è addentrata ormai in chissà quali sobborghi della nostra anima.