E’ l’insonnia la chiave di lettura per leggere e interpretare le Variazioni Goldberg di Johann Sebastian Bach. Glenn Gould lo aveva intuito e ne aveva prodotto nel 1955 una incisione che sconvolse il mondo musicale del tempo. Quella genialità musicale, non fatta di letture arrovellamenti letterari, era frutto unicamente della perfetta intuizione del linguaggio musicale, della nota per quella che è, un simbolo puro, inafferrabile, iridescente. Gould in quella masterclass di Horowitz, a Salisburgo, incontra due giovani brillanti pianisti, Wertheimer che viene completamente annientato dal genio fresco e ridente del pianista canadese , sino a giungere al suicidio e l’io narrante lo stesso Berhnard-Herlitzka, che regalerà il suo Steinway e si darà alla scrittura. Tutto questo avviene in due mesi di studio intensissimo, in cui i tre pianisti sono letteralmente divorati dal demone della musica, notte e giorno al pianoforte, senza mangiare, né dormire, per il piacere di suonare. Solo uno guarda oltre la pagina e oltre la tastiera, al di là della tecnica, Glenn Gould. E’ questa in breve la trama de’ “Il soccombente”, il romanzo autobiografico di Berhnard, in scena questa sera, in ultima replica al teatro Ghirelli, con inizio alle ore 18, L’insonnia, dunque, per questo disturbo nascono le variazioni Goldberg, con questo disturbo lottano i tre pianisti per poterle studiare. Quale fu la rottura di Gould? Sino ad allora questa pagina era stata trattata come uno di quei lavori in cui si compendia tutto il sapere di un vecchio creatore assurto al rango di frassino del mondo e che odorano, perciò, di divino, in ogni particella. Gould riporta le variazioni ad una misura ancor più cronachistica che storica. La pagina avrebbe dovuto curare l’insonnia di un vecchio quindi, Bach ci aveva sì buttato dentro tutto il suo sapere, ma divertendosi per divertire, non per tediare, Bach consegnò al giovane clavicembalista di nome Johann Gottlieb Goldberg che le suonava per tenere compagnia al suo mecenate durante le notti insonni, “Le Mille e una notte” non la “Critica della Ragion pura”. Una serie di brillanti invenzioni enigmistiche – il canone all’unisono seguito dal canone alla seconda, e alla terza – scandisce regolarmente una parata di fantastiche esplosioni virtuosistiche, sia digitali che di modi espressivi. Lo spettacolo ha lo stesso impianto delle variazioni Goldberg, composte per clavicembalo a due tastiere, con un Herlitzka superlativo, per ritmo, dizione, tempo, al quale fa da basso e controcanto Marina Sorrenti, voce del subconscio, nonché sorella del pianista suicida Wertheimer, e/o padrona di una locanda con cui quest’ultimo aveva una relazione, personaggio estraneo al testo, che ha volte, in particolare all’inizio della pièce, con il suo intercalare “pensai” dà quasi fastidio sovrapponendosi al declamare naturale, “facile”, come lo è solo dei grandissimi, di Herlitzka. Scena essenziale con una sedia medica di inizio Novecento su cui si muove la Sorrenti, quattro lampade e lo spazio scenico delimitato da pannelli di lavagna ove il recitato viene accompagnato da facili simboli disegnati col gesso. Scorrono la storia e gli anni. Il Bach di Gould cambia: mentre la prima incisione scavalcava il tempo diventando sorella di nuove scoperte, l’ultima, quando ormai la sua esistenza era diventata, per deliberata solitudine, un enigma indecifrabile a lui stesso: le note sono più dense, più misteriose, paiono accompagnare un’inedita aritmia cardiaca, un respirare che anela a esser quieto e disperatamente presagisce una rottura, l’assurdità di una fine. Herlitzka, è voce unica nel declinare un testo che rimanda anche al mondo musicale di oggi, con i vecchi maestri tromboni che non vogliono lasciare spazi a forze nuove, giovani e preparate: l’attore pronuncia alcune sequenze in modo volutamente meccanico e veloce o evocando il tono ieratico proprio dello scrittore, un virtuosismo, questo, senza soluzione di continuità dal suo apparire sul palcoscenico, sino al caldo scroscio del meritatissimo applauso del numerosissimo pubblico che ha letteralmente affollato la platea del Ghirelli.
Olga Chieffi