Risposta alla lettera della preside dell'Alfano I Barone - Le Cronache Salerno

Di Olga Chieffi

Tempo di Traviata al Teatro Verdi di Salerno. L’anima di Violetta corre disperatamente verso l’amore, il suo corpo, con inesorabile velocità, verso la morte, Tempus fugit. La Musica d’Artista al massimo cittadino, il cartellone coi suoi numerosi concerti scorre verso il Capodanno e il suo clou è stato raggiunto nel giorno di Natale, con l’atteso concerto delle Voci bianche del Teatro, dirette da Silvana Noschese e sostenute dall’Ensemble Salernitano, formazione composita, che schiera ex allievi dei diversi licei del circondario e diversi laureandi dei vari conservatori campani. Alla nostra recensione della, oramai, tradizionale matinée, con la sottolineatura che quest’anno, a sorpresa, non ha preso posto nel golfo mistico la formazione sinfonica del Liceo Alfano I, come lo è da anni, ma questa orchestra, parola pesante definirla tale, che da poco tempo si affaccia timidamente ad animare qualche evento, affidata per poche pagine alla tentennante direzione di un neo-diplomato del liceo musicale salernitano, che andrà certamente ad ingrossare il numero di piccole associazioni, gruppi, scuole e accademiette, che vantano l’esecuzione di titoli impegnativi anche per masse orchestrali professioniste, è giunta, pronta e tronfia, quanto il nuovo adepto della bacchetta, il quale ha avuto l’ardire finanche di “arrangiare” ed “eseguire” qualche frammento de’ “La danza delle ore” da La Gioconda di Amilcare Ponchielli, capace già di scimmiottare perfettamente le movenze del saluto di maestri affermati, sguardo perso e incantato verso il loggione, mano sul cuore, corsetta sul limitar della buca ad additare con gli indici in sincrono delle due mani gli strumentisti, la letterina di Natale del dirigente scolastico del Liceo Musicale Alfano I, Elisabetta Barone. La dirigente d’istituto, che ha fatto inviare anche un comunicato stampa di sostegno morale al pupillo direttore, lodandone la performance senza macchia, prontamente pubblicato da certa stampa che rarissimamente incontriamo in teatro e di certo non era affatto presente a tal matinée, ha inteso sciorinare tutte le offerte formative della sua istituzione scolastica iniziando, guarda caso, proprio dall’Orchestra Sinfonica, che ci chiediamo, ancora fortemente, come mai sia stata esclusa dal concerto, per affidarsi a questo novello Ensemble Salernitano, di natura extra scolastica, rivelando nella risentita letterina, anche l’esistenza di una Associazione, in seno alla sua scuola, tale Opera I, che pare raccolga sotto la sua ala gli ex allievi del liceo per “farli crescere”, quindi, un’entità manageriale con intuibile giro di danaro, all’interno di un’istituzione scolastica. Non si sa veramente dove voltare lo sguardo, una volta ammessi al Liceo Alfano I, a quali leggii assidersi, tra l’Orchestra sinfonica, tradita, l’orchestra Etno-popolare, la wind orchestra, l’orchestra di plettri, fino all’ensemble jazz, alla street-band, con una “perla” musicale della dirigente, la quale ci ha comunicato anche l’esistenza di un coro di Voci Bianche dell’Istituzione, quando è noto che in una simil formazione si inizia a cantare intorno ai sei-sette anni e si muta voce intorno ai tredici, tirando in ballo, inoltre, quali gruppi satelliti, Percussioniamo, dei maestri Sapere, Barbarulo e Palmieri o “Le Trotulae”, nate attorno alla passione per la musica antica, che sa ben accendere in tutti i suoi studenti, il docente di flauto, Guido Pagliano, gruppi, questi, creati, certamente, tra le mura della scuola, ma che oggi sono belle e feraci entità indipendenti. Le colonne delle pagine culturali di questo quotidiano, guidato da Tommaso D’Angelo, sono da sempre incapaci di chinare la testa a quello pseudo “Totem della Cultura, al quale certo pubblico è portato ad attribuire preventivo assenso” (cit. Paolo Isotta) spettatori preda di quanti tentino di imporre figurette, che paiono incarnare tale obelisco, dai musicisti agli “storyteller” che imperversano sui nostri palchi, ante-concerto. Amiamo scrivere di musica e ci rendiamo conto che, a volte, guardiamo indegnamente all’operato dei nostri maestri, i quali ci hanno messo in mano gli strumenti per “fare” ciò, col proprio porsi sempre in gioco, instillando il dubbio, che è l’unica via per uscire dalla “selva”, lavorando indefessamente, con severità, nella costruzione del sapere, tutto, la cui ricompensa è stata unicamente l’onore di trasmettere qualcosa, di accendere una scintilla in chi è venuto dopo, un piacere puro, quindi, inviso e impopolare, quanto il nostro. Non ci si nasconda dietro il termine “giovane”, che deve essere rispettato, come quel luogo, quello spazio, ove il tempo, l’istante, si fermano, che è in primis la scuola, quindi il palcoscenico. La scuola, come gli allievi, è oggi, purtroppo, alla ricerca di crediti, titoli, Pon, Poc, formazione extra-scolastica, il più delle volte vuoti, si quantifica lo studio di un passo d’orchestra, di un concerto, in ore, minuti, giornate: non basta una vita. Il linguaggio musicale ha un simbolo particolare, inafferrabile: ci ritroviamo tutti sul pentagramma, poi, questo segno si trasforma, per l’idea del direttore d’orchestra, col sentire dello strumentista o dei cantanti, in un agone infinito, con il pubblico o la critica, che, per mettere insieme due parole, dovrebbe pur fare lo stesso lavoro di lettura della partitura del direttore. Quando si riesce a creare quel flou che unisce tutti tra le note, come è avvenuto nell’esecuzione dei due Preludi de’ La Traviata da parte del Maestro Daniel Oren, in questa ultima produzione, si ritrova al cospetto della Musica. Quindi, allontaniamo i legulei, per colpa dei quali ci siamo giocati il sistema antico dei nostri Conservatori, a cui tutto il mondo guardava, trasformati in laurefici da 110 cum laude, facciamo tutti un bagno di umiltà e, invece di inventarsi manager e contare i titoli artistici nelle ordinate cartelline, validi per aspirare ad una cattedra, anche costruita ad hoc, oramai si riesce ad ottenerla anche con un “progettino” inclusivo, di sognare unicamente quel famoso posto fisso “zaloniano”, da conquistare nel più breve tempo possibile dal diploma, insegniamo ai giovani che si ha da pensare alla musica in ogni sua forma, per ventiquattro ore al giorno, mai inseguendo secondi scopi d’infima lega, come spesso accade nella nostra società, e che il Maestro Daniel Oren del quale si è sbandierato infinite volte il nome dal palcoscenico del suo teatro, in questa matinée di Natale, per salire su quel podio e dirigere, oggi, da par suo, da bambino, aveva un’ora sola al giorno per dedicarsi ai giochi e distrarsi dallo studio. Non si brucino le tappe, non si dica sempre quel “Tutto bene” seguito da superlativi assoluti, si abbia il coraggio di pronunciare un no. Sul palcoscenico si è soli, lì le maschere avvampano e si dissolvono inesorabilmente. Tempus non Fugit!

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