di Giovanni Fava – avvocato
La riforma del processo penale voluta dalla Ministra Cartabia, tocca numerosi punti del Codice di Rito che incideranno profondamente sul ddl Bonafede già da tempo al vaglio del Parlamento. Il tema più sentito è quello della prescrizione già oggetto di un rovente dibattito politico. In sintesi viene confermata l’attuale disciplina, che prevede lo stop alla prescrizione dopo la sentenza di primo grado sia essa di condanna sia essa di assoluzione. Ma poi – ed è questa la novità – i due gradi successivi di Appello e di Cassazione avranno un tempo certo di svolgimento. In pratica viene stabilita una durata massima di due anni per i processi d’appello e di un anno per quelli di Cassazione (con la possibilità di una ulteriore proroga di un anno in appello e di sei mesi in Cassazione per i processi complessi relativi a reati cd. gravi (per esempio associazione a delinquere semplice, di tipo mafioso, traffico di stupefacenti, violenza sessuale, corruzione, concussione). Decorsi tali termini, interviene l’improcedibilità, cioè il processo finisce per legge. Rimangono esclusi da tale timing i reati imprescrittibili (cioè quelli puniti con ergastolo). Introducendo comunque un computo temporale da rispettare la riforma riconosce la necessità di un rispetto dei tempi riportando la bussola sul principio del “giusto processo” citato dalla Costituzione e dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, segnando una inversione di rotta rispetto alla figura dell’imputato potenzialmente “sine die” di bonafediana memoria. Ci sarà il pericolo per le parti civili di non vedere riconosciute le proprie ragioni? La riforma crea un ponte tra il rito penale e quello civile nel senso che il giudice penale dovrà trasmettere gli atti a quello civile per la finalità risarcitoria. Da evidenziare che nella fase successiva al primo grado di giudizio viene cancellata la distinzione tra soggetto condannato e soggetto assolto: per entrambi varranno le stesse regole del gioco.
Anche la fase delle indagini, spesso costituente il vulnus della c.d. giustizia lenta, viene toccata dalla riforma. Si stabilisce che: la Procura può chiedere il rinvio a giudizio dell’indagato solo quando gli elementi acquisiti consentono una “ragionevole previsione di condanna”; siano rimodulati i termini di durata massima delle indagini rispetto alla gravità del reato; nell’ambito di criteri guida che saranno indicati dal Parlamento, le Procure dovranno individuare priorità trasparenti e predeterminate circa le materie di indagine, da indicare nei progetti organizzativi delle Procure e da sottoporre all’approvazione del Consiglio Superiore della Magistratura. Infine viene previsto che alla scadenza del termine di durata massima delle indagini, fatte salve specifiche necessità di tutela del segreto investigativo, operi un meccanismo di discovery degli atti, a garanzia dell’indagato e della vittima.
Di interesse sono le novità che riguardano la procedibilità a querela per i reati contro la persona e contro il patrimonio con pena non superiore nel minimo a due anni, salva la procedibilità d’ufficio se la vittima è incapace per età o infermità, a cui è da leggere in stretta relazione la delega al Governo circa l’estensione dell’ambito di applicazione della causa di non punibilità, di cui all’articolo 131 bis del codice penale, ai reati puniti con pena edittale rientrante proprio nei due anni.
Ancora la riforma tocca i riti alternativi, la messa alla prova, l’udienza preliminare ed il grado di appello ed in particolare la necessaria specificità dei motivi per evitarne la inammissibilità.
La riforma della Ministra Cartabia è un passo importante affinchè il sistema processuale penale italiano aderisca alle linee di standard europee ma, aggiungo, ogni buona intenzione è destinata a rimanere sulla carta se non è supportata dall’efficientamento dello stesso . Fondamentale, dunque, sarà procedere con la digitalizzazione e lo stanziamento di fondi per implementare le tecnologie informatiche, a partire dal deposito degli atti, dalla visione da remoto dei fascicoli e dalle notifiche per via telematica. Questo, di per se, già costituirebbe una velocizzazione dell’iter processuale.