di Alberto Cuomo
Quando Roberto De Luca accettò di parlare con un personaggio equivoco sulla gestione dei rifiuti in Campania fu probabilmente mosso da un’esigenza personale, nel senso forse aveva la necessità di conoscere i meccanismi della rimozione delle ecoballe, che era nella responsabilità del padre, accettando di parlare con un sedicente esperto a lui non noto. E infatti, a proposito del genitore, una legge dello Stato, nel 2016, aveva investito il Presidente della Regione Campania della predisposizione di un piano straordinario di interventi per “lo smaltimento, ove occorra anche attraverso la messa in sicurezza permanente in situ, dei rifiuti in deposito nei diversi siti della Regione Campania risalenti al periodo emergenziale 2000/2009 e comunque non oltre il 31 dicembre 2009…”. In tal senso la Regione Campania, sin dall’uscita della legge, ha attuato interventi di rimozione, trasporto, smaltimento e recupero in ambito nazionale o comunitario dei rifiuti già stoccati in quel decennio, istituendo un apposito ufficio per quelli raccolti e imballati presso i siti presenti nei territori delle 5 province regionali e stabilendo altresì controlli a campione da parte dell’ARPAC sulla qualità dei rifiuti da rimuovere da parte delle ditte vincitrici dei bandi. Un compito gravoso quello di rimuovere i rifiuti depositati per poi procedere al recupero delle aree utilizzate per lo stoccaggio, che durerà probabilmente qualche decennio, dal momento nei soli anni indicati dalla legge sono stati collocati nei siti oltre cinque milioni di tonnellate di spazzatura. Un tale impegno non ha coinvolto i rifiuti degli anni successivi e, in particolare, quelli dei comuni del Cilento il cui smaltimento era stato da essi appaltato alla ditta Sra di Polla. La vicenda è ormai nota: al fine di ottenere maggiori guadagni, pare il doppio dei ricavi di uno smaltimento corretto, la ditta appaltatrice, invece di inviare in discarica o in termovalorizzatore i rifiuti non riciclabili, ha preferito, contra legem, catalogandoli come riciclabili, spedirli in Tunisia, al porto di Sousse, dove un’altra ditta tunisina, complice, la Soreplast, li ha accolti in un suo capannone per interrarli successivamente. La grande quantità di rifiuti ha insospettito gli inquirenti tunisini i quali, verificata l’illiceità del carico, sia ai sensi della norma africana che europea, ha tratto in arresto e presto condannato il ministro dell’Ambiente Laroui, il suo capo di gabinetto, i dirigenti dell’autorità doganale, dell’Agenzia nazionale per la protezione dell’ambiente e dell’Agenzia nazionale per la gestione dei rifiuti, mentre l’amministratore della Soreplast è sfuggito agli arresti rendendosi uccel di bosco. Per tale illecito vi è stato anche un incidente diplomatico che i due ministri degli esteri hanno risolto in danno della Regione Campania la quale, dopo aver bloccato le spedizioni, ha dovuto riprendersi, a proprie spese e con il pagamento del loro stazionamento, gli altri 212 containers rimasti nel porto di Sousse per un anno e mezzo. In Italia l’indagine è durata circa quattro anni, affidata al sostituto procuratore del Tribunale di Potenza Vincenzo Montemurro, il quale ha richiesto le misure cautelari per i protagonisti campani dell’invio dei rifiuti in Tunisia, ovvero per i titolari dell’azienda Sra con i vari mediatori italiani e un tunisino, in numero di otto, tre responsabili minori con obbligo di dimora e il funzionario della Regione, l’architetto Enzo Andreola, ai domiciliari per aver “facilitato” l’operazione delittuosa con il suo atteggiamento superficiale e negligente, tale da non fargli effettuare i dovuti controlli affidandosi, nella ricerca del referente tunisino delegato alle questioni del trasporto transfrontaliero di rifiuti alla console della Tunisia a Napoli e a persone e istituti in contatto con la Sra. Si sa che la gestione dei rifiuti è complessa tanto da generare conflitti tra Stato e Regioni su cui spesso è intervenuta la Corte Costituzionale. In Campania la Regione ha emanato “Linee guida in materia di affidamento del servizio rifiuti” e, nella considerazione che i rifiuti “speciali” pericolosi per l’ambiente e la salute, superano di gran lunga, come in tutto il paese, i rifiuti “urbani”, ha anche indicato i modi per prevenire la produzione di tali rifiuti. Appare pertanto paradossale che in tanto attivismo una questione così complessa qual è stata quella dei rifiuti spediti in Tunisia, sia stata posta in capo ad un singolo funzionario e che non vi siano livelli politici, cui pure è delegato l’ambiente e i vari Piani dedicati compreso il Piano di smaltimento, responsabili almeno del controllo della filiera che coinvolge i privati. Del resto è per questo motivo che i comuni ed i privati delegati alla gestione dei rifiuti, senza veri controlli che non quelli tecnico-burocratici su cui Andreola è stato disattento, si affidano sovente a società malavitose tendendo a fare affari d’oro.