«Bisogna smetterla con questa storia che il Parco sia esistito grazie ai fondi pubblici: è una cavolata! Sono stato zitto fin troppo tempo, adesso basta». Remo Russo, già liquidatore unico del Parco scientifico e tecnologico (Pst), rompe un silenzio che forse durava da troppi anni, quasi venti, e spara a zero su tutto. Ce l’ha anzitutto con la Regione Campania, «rea di non aver ancora pagato gli utili», ma soprattutto con chi «ha osato assimilare il Parco alle società miste: è un parallelo inverecondo». Affiancato dalla dott.ssa Bisogno, Russo è un fiume in piena. In prima battuta, spiega con fare dimesso il motivo delle sue dimissioni nel 2011, poi rientrate prontamente. «All’epoca ho deciso di restare, forse stupidamente, lo ammetto, ma l’ho fatto unicamente per il dovere di restare accanto ai dipendenti». Poi, scattando in piedi, irrompe: «Questo signore che vi parla con veemenza è stato fregato! Eppure ho una famiglia che vanta 70 anni di carriera professionistica, a partire da mio padre che prima di iscriversi all’ordine dei dottori commercialisti è stato perfino al fronte». I toni, però, a un tratto si placano. Russo spiega come la società sia stata messa in liquidazione appena tre giorni fa, con sentenza di fallimento datata 20 gennaio. «Il Pst, si badi, è fallito su istanza dei dipendenti, non dei creditori. Eppure voglio specificare che ci hanno boicottati, a partire dagli enti pubblici che non hanno neppure firmato le nostre richieste. Ho assistito alla solita logica sindacale pietistica, che contrariamente alla governance tedesca fa solo danni al nostro Paese; sarebbe bastato un confronto al posto di un illogico atteggiamento di chiusura. No, io non sono di quella razza». Tra gli enti pubblici in generale, il riferimento a un certo punto diventa mirato. «Una volta ho incontrato l’ex rettore dell’Università degli Studi di Salerno, Raimondo Pasquino, il quale mi ha detto, espressamente: “Come facciamo a sostenervi se il primo a non farlo è il Comune?”». Mancati sostenimenti che, secondo Russo, farebbero il paio con le parole screditanti sul suo conto, allorché «è stato addirittura tirato in causa mio fratello Michelangelo, attualmente presidente della Corte d’Appello di Salerno che sta seguendo la vicenda di De Luca; qualcuno ha anche fantasticato sulla mia presenza al Pst per conto della sua posizione». L’ex liquidatore unico si avvia poi alle battute finali. «La società non ha mai ricevuto neanche rimborsi forfettari. I cellulari usati erano unicamente i nostri, non quelli aziendali, così come i viaggi fatti dai dipendenti per conto dell’azienda: sempre con soldi anticipati e su postazioni di seconda classe». Dipendenti che, oltretutto, sarebbero in credito di 466.000 €, il cui Tfr, tuttavia, verrebbe in ogni caso garantito dall’Inps. «Sono cinque anni che non incasso un euro, mentre dovrei averne oltre 70.000. Ecco, a tal proposito abbiamo un credito per un totale di 227.000 €, che sommato agli interessi sfiora i 250.000 €». Situazione diversa per quanto riguarda i debiti. «Tolti i quasi 500.000 € che la società ha in rosso nei confronti dei lavoratori ma che, ripeto, dovranno essere erogati dall’Inps, i nostri debiti si aggirano attorno ai 523.000 € tra creditori ed altro. Entro lunedì (a tre giorni dal fallimento) dovremo consegnare tutti questi dati nell’apposita contabilità e bilancio e girarla poi al curatore fallimentare, la dottoressa Serena Iuliani».
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